Si sa: ci sono stagioni e stagioni nella gastronomia. Ci sono gusti e gusti nei piatti. Ci sono prodotti e prodotti
A me (e credo di non essere l’unico) piace l’estate.
L’estate è la stagione in cui i pomodori esplodono di sapore, le verdure dell’orto si fanno più verdi, le zucchine prendono finalmente il loro gusto vero e le erbe che si adoperano in cucina profumano e hanno più fragranza, dal basilico al rosmarino. Quindi, mi piace l’estate. Mi piacciono colori, odori, aromi di questa stagione.
E anche in uno dei ristoranti più asettici e minimalisti d’Italia, quel
Lume di
Luigi Taglienti dove perfino le
mujarabie orientali vengono cristallizzate in un bianco accecante e un po' algido, perfino lì (o forse proprio per merito di questo sfondo freddo) i piatti dello chef ligure in questa stagione vengono esaltati.
È bravo, Taglienti. L’abbiamo detto molte volte. E per una volta vogliamo soffermarci non solo su di lui ma anche su uno degli aspetti più importanti dell’esperienza che abbiamo fatto anche questa volta: la sala.
Non c’è bisogno che lo ricordiamo ancora una volta: la sala è fondamentale nella ristorazione, antica o moderna che sia. La figura del cuoco “star”, venutasi a formare negli ultimi anni, allontana la persona del cuoco sul piedistallo, icona e simbolo di fama ipotetica. Sta quindi alla sala, al maître, al sommelier, ai camerieri tutti “scaldare” il ristorante e far vibrare il luogo in cui siamo. Sono loro gli anfitrioni. E non a caso nascono le scuole di sala: da
Intrecci vicino a Orvieto, alle altre tante e varie (e più o meno accreditate) esperienze accademiche.
A Intrecci, per dire, non si insegna il “servizio”. Sì, anche quello. Ma la cosa fondamentale che si insegna è a vivere la vita del ristorante, nel suo complesso, a sentirlo la propria seconda casa. E a far sentire così i clienti. E questa nuova tendenza di “professionale accudimento" si sta propagando nelle sale italiane, da Bottura e da Romito, da Crippa e da Niederkofler. Vicinanza, calore, sensibilità. Le stesse che abbiamo sentito da Taglienti.

Ilario Perrot e Federico Recrosio
E quindi grazie a
Federico Recrosio, maître impeccabile ma mai distante, e a
Ilario Perrot (head sommelier),
Mirko Menti, Diana Scorta e
Annerita Granata che ci hanno fatto sentire veramente speciali.
Ma torniamo a Taglienti ed ai suoi piatti. Ho già scritto di come Luigi riesca ogni volta a stupirci. Anche questa volta è stato così. E ancora una volta d’estate.
Abbiamo assaggiato:

Appetizer: Nuvole di riso (foto Stefano Caffarri)

Raviolo di focaccia, bagnato in acqua di pistacchio, avvolto in una fetta di mortadella
Sedano e yuzu
Garcinia ed erbe
Ostrica strapazzata
Ricci e pompelmo
Trippa di agnello, alghe e caviale
Pansotti al sugo di noci
Bottarga e maracuja
Rognone e anguilla
Piccione al caffè
Due soli ingredienti per piatto, nella maggior parte dei casi. Due gusti spesso forti, contrastanti. Due opposti che si incrociano e completano. E spesso, ancora una volta, uno "caldo" e uno "freddo"; uno di terra e uno di mare. Che poi sono le due anime di Luigi Taglienti, come la sua Liguria: di mare e di terra in un'unica regione. In un'unica anima.