22-11-2019

La Cassata di Corrado Assenza, piatto simbolo di Identità Golose 2020

Per interpretare il Senso di responsabilità, abbiamo scelto un dolce superlativo di una persona dalle qualità umane assolute

La locandina della sedicesima edizione del Congres

La locandina della sedicesima edizione del Congresso di Identità Golose: la Cassata di Corrado Assenza è il piatto simbolo, nello scatto di Brambilla - Serrani

Dopo l'annuncio, arrivato all'inizio di novembre, del tema del prossimo Congresso di Identità Golose (a Milano dal 7 al 9 marzo), Il senso di responsabilità, pubblichiamo oggi con grande piacere il piatto simbolo di quella che sarà la sedicesima edizione di Identità. Che per il 2020 sarà un dolce, firmato da un uomo che non è solo uno dei più stimati pasticcieri d'Italia e del mondo, ma è anche e soprattutto un preziosissimo compagno di strada del nostro Congresso.

Corrado Assenza nel 2020 salirà per la sedicesima volta su sedici sul palco di Identità Golose, e in questo caso, dietro di lui, ci sarà la foto della sua Cassata. Infatti ogni edizione di Identità Golose viene sintetizzata da un piatto di un relatore e «quando abbiamo scelto come tema per il 2020 Il senso di responsabilità – ha ricordato Paolo Marchi – tutti abbiamo capito che non sarebbe stato affatto facile leggere il tema stesso attraverso una ricetta, una preparazione. Non bastava infatti pensare a una squisitezza, a una eccellenza indiscutibile. Il senso di responsabilità ci ha portati a pensare sia a un qualcosa di superlativo ma anche alle qualità assolute di chi aveva raggiunto tali vette di qualità. E chi meglio di Corrado Assenza? Non è certo l’unico che ha sempre ben presente a sé la responsabilità verso ogni aspetto della sua professione ma il suo credo abbraccia tutto ben oltre l’orizzonte di Noto. E la sua cassata è la sublimazione di una tradizione millenaria, resa contemporanea attraverso una profonda conoscenza della storia, delle materie prime e degli aspetti alimentari e golosi più autenticamente contemporanei». Senza folklore alcuno.

Negli scatti di Brambilla - Serrani, con la cucina di Identità Golose Milano a fare da set, la preparazione della Cassata di Corrado Assenza

Negli scatti di Brambilla - Serrani, con la cucina di Identità Golose Milano a fare da set, la preparazione della Cassata di Corrado Assenza

La sintonia assoluta che c'è tra Identità Golose e Corrado Assenza si ritrova immediatamente nelle parole del pasticciere del Caffè Sicilia, arrivato a Milano e in particolare nell'Hub di via Romagnosi per realizzare la sua Cassata davanti agli obiettivi delle fotografe Francesca Brambilla e Serena Serrani. Già una volta, chiacchierando con lui, era emersa l'idea che Paolo Marchi nello scegliere i temi del Congresso riuscisse sempre a cogliere un aspetto che per Assenza risulta fondante del suo approccio alla cucina.

«Paolo esprime, con le parole che sceglie per il tema del Congresso, qualcosa che c'è da tempo nella mia visione del lavoro che faccio. Succede sempre, e certamente è successo anche questa volta», ci dice sorridendo. «La responsabilità - prosegue poi Assenza - è la sintesi di tutto quello che abbiamo fatto in sedici anni di Congresso. Perché ti accorgi che dopo 16 anni devi assumerti delle responsabilità come Congresso, e come partecipante per sedici volte mi assumo la responsabilità di fare parte di questa storia, di averne condiviso la genesi, gli sviluppi e le proiezioni future. E inoltre mi assumo la responsabilità di portare il mio lavoro di questi anni come pasticciere all’interno del mondo della cucina italiana. Dico deliberatamente "cucina" e non gastronomia per comprenderla tutta: quella alta, quella bassa, media, larga, stretta...ci servono tutte».

Perché?
La cucina italiana è un mondo vasto e importante, e confina direttamente, entrandoci in contatto costantemente, con l'agricoltura, con la distribuzione dei prodotti agricoli e alimentari...è una famiglia molto grande. Uno spaccato reale della società e del nostro paese. La responsabilità che sento è di portare a tutto questo mondo i valori, gli ideali, il modo di essere di una persona e il suo modo di vedere il lavoro, ma soprattutto il rapporto tra il titolare di un'azienda e i suoi collaboratori. La responsabilità che sento è di testimoniare quanto possa essere sano, efficace e riproducibile un modello virtuoso di azienda alimentare in Italia.

Spesso quando si parla di responsabilità in questo contesto, oggi, si pensa anche a un altra parola: sostenibilità. Tu che significato dai a questa parola?
Penso sinceramente di aver compreso l’importanza del tema della sostenibilità già da tempo e di averlo fatto con una sensibilità particolare, che mi viene dall'osservare il mondo da Noto. In una sorta di relazione biunivoca tra le mura della pasticceria e i muri a secco dei campi della nostra zona, una relazione stretta, intima, fra contadini, allevatori, pescatori, produttori di formaggi o di extravergine di oliva... Cercando sempre di riuscire a individuare un livello di qualità superiore e soprattutto di riuscire a indicare un percorso per poter raggiungere quella qualità in modo continuativo.

E come ci si riesce?
Non sempre andando a scegliere l’ingrediente migliore, ma invece andando a scegliere quella persona che ha una capacità di crescita, di ascolto e di dialogo. Il mio interesse è creare un circuito virtuoso che leghi produttori primari e produttori secondari, che siamo noi che utilizziamo le materie prime e le trasformiamo, individuando i metodi più idonei per rendere l’ingrediente ancora se stesso anche quando non è più materia grezza. Avendo sempre in mente l'obiettivo di risparmiare acqua, risparmiare energia, sprecare meno ingredienti. Utilizzare tutto dell’ingrediente. E allora le pelli dei pomodori che serviamo per l’aperitivo, le essicchiamo e ci facciamo i biscotti per l’aperitivo stesso. Con i semi del peperoncino, che togliamo per avere un gradiente diverso di piccantezza, creiamo una polvere da usare quando ci servirà nell'equilibrio di un piatto, per non disperdere nulla. E tanti altri potrebbero essere gli esempi di economie interne che ci servono a dimostrare il doveroso rispetto per chi produce la materia prima: cioè il contadino, e la natura stessa.

L'alta cucina, parliamo di questa ora, sembra aver compreso molti di questi valori. E sembra potersi assumere la responsabilità di gettare un ponte tra realtà che sembrano sempre più spesso lontane, se non antitetiche, come le grandi città e le province, i centri urbani e il mondo rurale. E' così secondo te?
C'è maggiore sensibilità perché è l'ambito in cui prima si è compreso che stavamo rischiando di perdere un patrimonio irripetibile, rappresentato dalle piccole aziende agricole, soprattutto a livello familiare. Contadini che riproducono generazione dopo generazione i semi che loro stessi seminano, salvando così una ricchezza che altrimenti scomparirà, perché poi ci saranno soltanto i semi dell’industria sementiera, tutti uguali per tutto il mondo, senza nessun legame con la cultura materiale del popolo che utilizza quei semi. Dobbiamo rendere omaggio a questi contadini e dobbiamo rendere possibile la loro sussistenza, perché i protettori della stabilità del nostro territorio, anche dal punto di vista geomorfologico, sono proprio loro. Non la scellerata industrializzazione dell’agricoltura, ma il lavoro di chi vede nella campagna la risorsa primaria della vita della propria famiglia. Dobbiamo riuscire a far passare un messaggio importante.

Quale?
Dobbiamo riuscire a riportare fasce sempre più larghe di pubblico, soprattutto tra i giovani, a frequentare la campagna per accorciare le filiere distributive, per godere della freschezza dell’appena raccolto. Una filiera di distribuzione che deve raggiungere la grande città ha bisogno di tempo. E così ci priviamo della freschezza, della genuinità e del gusto pieno delle cose. Dobbiamo riscoprire che i prodotti agricoli vanno comprati in campagna, dobbiamo chiedere alla società che l’ha generata di tornare indietro dalla logica del centro commerciale che ha distrutto gli orti periferici. Dobbiamo ripensare e retro-innovare, riportando nel presente i valori realmente validi dal passato, le lavorazioni che credevamo desuete perché troppo artigianali, e che invece hanno un grandissimo valore in quanto non sostituibili da una industrializzazione troppo veloce e poco rispettosa della natura stessa e di ciò che produce.

Il piatto simbolo del Congresso che affronterà "Il senso di responsabilità" sarà la tua Cassata. Che è anche un simbolo della tua arte di pasticciere...
Cassata per noi è un dolce simbolo sia di Caffè Sicilia che dalla pasticceria siciliana. E' il dolce che da più di 1000 anni incarna i momenti celebrativi delle famiglie e della società. Un dolce di ricorrenza delle grandi feste religiose e delle grandi feste della famiglia. Compleanni, fidanzamenti e matrimoni sono stati punteggiati dalla Cassata. Noi la proponiamo nella nostra versione contemporanea, e la cosa che più di ogni altra sottolineerei è che questo dolce è riuscito a sopravvivere per più di 1000 anni senza essere mai uguale a se stesso. Ogni epoca ha la sua Cassata, che viaggia così parallelamente al gusto dei suoi consumatori, del popolo. Si evolve e cambia, ma rimane sempre un'icona proprio perché cambia con il cambiare della società.

In che modo è cambiata la Cassata?
Non posso immaginare che mille anni fa si usasse il pan di Spagna, che non c’era, o la crema di ricotta, che non c’era. Sarà stato un qualche caseinato, chissà quale. Lo zucchero non l’avevamo perché non avevamo la barbabietola, sarà stata canna, forse una melassa o un miele. La frutta candita molto probabilmente erano datteri, perché era di ispirazione araba. Però cambiando gli addendi il risultato è sempre lo stesso: prelibatezza. Noi abbiamo cercato di esaltarla, alleggerendola di zuccheri che non servivano e arricchendola di gusti che servivano, ridando dignità a tutti i tasselli che compongono questo grande mosaico. La mandorla, il pistacchio, il pan di Spagna soffice, la bagna che irrora il pan di Spagna che è il frutto degli sciroppi di canditura dei nostri canditi. Quindi quell’arancia e quel limone che sono di decoro li otteniamo producendo anche degli sciroppi che danno al pan di Spagna il profumo di frutta. Aggiungiamo solo pochissimo rum e un po’ di liquore di vaniglia per completare il bouquet.

Hai citato il decoro. Che ha in questa Cassata un ulteriore significato per te, per il tuo lavoro e per la tua famiglia. C'è un passaggio di testimone importante, tra te e tuo figlio Francesco, che ha pensato e disegnato il decoro che oggi troviamo sulla superficie di questo tuo dolce...
Sì, è così. Il decoro è quella parte alta, nobile, che confina con l'arte e le strizza l’occhio. Quel piacere e quell'ispirazione che ci concediamo quando abbiamo da decorare un foglio di carta bianca, fornito dallo zucchero fondente di canna che chiude la Cassata. E proprio lì c’è il grande passaggio di testimone: dal mio stile più classico, aderente al mio background di gelosie e conventi di clausura, a quello più moderno, più pop, più vivace e scanzonato, ma altamente artistico, di mio figlio. Ci sono delle ballerine che danzano su queste Cassate. Sono le ballerine di Degas, le ballerine dei grandi classici, ma è un tratto che arriva fino ai cacciatori delle grotte di Lascaux. Fateci caso: due colori, il limone e l'arancia, per decorare un corpo di ballo come se fosse un graffito su una roccia preistorica.

Quanto conta per te questo passaggio di testimone con tuo figlio, oggi?
Posso dire "tutto"? Ecco, sì. Tutto.


IG2020: on the road

a cura di

Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

Consulta tutti gli articoli dell'autore