Noi italiani che ci riempiamo la bocca con la superiorità della nostra cucina, salvo incappare nella gaffe del sottosegretario alla cultura che la stronca bruttamente, dovremmo prendere esempio anche dal governo thailandese. La visita a due scuole di cucina di Bangkok, soprattutto la prima, mi ha aperto gli occhi su un progetto esemplare che ora descrivo, previo inciso. Parlando infatti con dei responsabili locali di questa o quella figura che abbiamo conosciuto in questo viaggio in occasione della Thaifex 2013, a uno di noi è scappato di chiedere perché mai una certa signora fosse in una posizione di rilievo. E’ una di quelle domande che se la poni in Italia è perché sospetti si nasconda l’altarino, qui la risposta è stata immediata e lapidaria: “Perché è brava”.
E lo stesso, che è brava, bravissima, io posso dire di un’altra signora dall’età indefinita, attorno agli ottanta,
Wandee Na-songkhla. Nel 1993, vent’anni fa quindi, ha aperto una
scuola tutta sua, la prima riconosciuta dal ministero dell’educazione, dopo che otto anni prima era stata chiamata come professoressa in quella fondata dalla principessa reale
Maha Chakri Sirindhorn.
Lo scopo non era quello di educare generazioni di massaie che, tra l’altro, con tutto le street food che incroci, uno si chiede quante ve ne siano, bensì di rimettere in careggiata la cucina thai. Con una forte minoranza cinese (su una popolazione di circa 70 milioni di persone, i thai arrivano a 50) e una viva popolarità nel mondo della cucina thai, troppi negli anni Ottanta presero a farsi interpreti di una tradizione che non era la loro. Così Wandee decise di assegnare, in accordo con le autorità, un suo certificato a tutti coloro che completavano gli studi e passavano gli esami, patentino riconosciuto dal ministero degli affari esteri thailandesi e da diverse ambasciate a Bangkok. Oggi le scuole che possono rilasciare questo attestato sono circa 15, delle quali una decina pubbliche, quasi tutte nella capitale. Non solo, sono ora coinvolti anche il ministero del commercio e quello del lavoro.
In due decenni dalla scuola della signora Wandee sono usciti 30mila diplomati, equamente suddivisi tra uomini e donne. A loro è stato insegnato come preservare, accrescere e diffondere la cucina thai. Il tutto in chiave economica e turistica interna e esterna al paese. Chiunque, è ovvio, può alzarsi una mattina e decidere di cucinare thai, che sia thailandese o meno (e io per primo sono reduce da un’eccellente cena in un’insegna, Bo.lan, dove uno dei due chef è australiano). In fondo succede a tanti di improvvisarsi chef italiani un po’ ovunque. Però proprio per questo esiste tale percorso, per fare in modo che vi siano anche delle alternative serie e concrete. La segreteria ad esempio ha appena ricevuto una richiesta di un cuoco thai da un grande albergo polacco. Tra chi ha risposto, sono stati scelti 5 diplomati e uno presto se ne andrà a Varsavia. E’ più credibile un locale con chef che arriva dalla patria. Idem per una catena russa, in questo caso la domanda è per due cuochi.

Da poco
Wandee ha presentato il suo Culinary technological college, con corso della durata di tre anni, ma ve ne sono di ben più brevi. Anche per giornalisti che intendono diventare critici gastronomici, dura dieci giorni. Ha detto la fondatrice: “Prima di ogni altra cosa insegniamo il giusto sapore dei piatti che formano la nostra storia”. Come dire, vengono prima l’alfabeto e la grammatica, poi le poesie e i romanzi.
Non basta: il ministro dell’industria sponsorizza il premio di Best Thai Restaurant. Vince chi brilla a livello di gusto thai delle pietanze, di governance gemnerale, di abilità a livello nutrizionale e, quarto punto, sa amministrare bene e fare affari. Quegli utili che a volte ci si scorda essere il fine di una impresa ristorativa.
2. continua