La sfida del Pinot Noir. O meglio, il confronto con il Pinot Noir. Identità di Champagne ha portato nella Sala Gialla 3 del Mi.Co. l’anteprima di La Grande Dame 2008, lo champagne premium di Veuve Clicquot, che proprio quest’anno ha subito una rivoluzione, voluta dallo chef de cave Dominique Demarville, il quale ha portato dal 60 al 92% il Pinot Noir nell’assemblaggio.
«La volontà – ha spiegato Demarville – è quella di fare uno champagne che potesse puntare alla massima freschezza ed eleganza. Perché non ho fatto un Pinot Noir in purezza? Forse perché non sono stato audace fino in fondo. Ma volevo mantenere comunque un legame alla Grande Dame realizzata fino ad ora. Inoltre, l’8% di Chardonnay serve per esaltare le note del Pinot Noir».
In abbinamento, i piatti realizzati da alcune delle donne chef che fanno parte dell’Aterlier de Grandes Dames, voluto proprio da Veuve Clicquot per valorizzare l’anima femminile della cucina italiana.

Fabrizia Meroi, a sinistra, ascolta con attenzione lo chef de cave Dominique Demarville
FABRIZIA MEROI, IL LATTE E I BAMBINI – Il primo nutrimento, l’essenziale. La memoria torna all’essere bambini con
Fabrizia Meroi, chef al
Laite di Sappada, che ha cercato di definire il suo pensiero di memoria.
«La mia idea era quella di recuperare l’elemento latte in tutte le sue forme. Per esempio, alcuni mesi fa ho assaggiato un aceto derivato dal siero del latte, che mi ha stupito e mi ha fatto riflettere. Perché ci sono varie forme, come lo yogurt».

La preparazione del piatto
La base del piatto presentato da
Meroi è un merluzzo dissalato per alcuni giorni, fatto a dadolata, con l’aggiunta di panna acida per dare un tocco di grassezza. Poi c’è il finocchio crudo con olio, sale e aceto di siero di latte, oltre a pepe bianco. Quindi una riduzione dello stesso aceto, yogurt liofilizzato, la pelle del latte, realizzata tramite l’ebollizione del latte intero, meringhe con latte magro, cialda di latte in polvere, e a parte un piccolo brodo di verdure e la crosta del Piave stagionato di Sappada.

L'entusiasmo di Caterina Ceraudo
CATERINA CERAUDO, LA VIGNA E LA DEDICA ALLO ZIO – Il piatto si chiama semplicemente
Bianco, ma dietro ci sono ricordi ed emozioni della vita di
Caterina Ceraudo, apprezzatissima chef di
Dattilo a Strongoli, in Calabria. E il suo piatto, un viaggio tra il presente e il passato, totalmente bianco non è, in realtà.
«Andando nelle vigne con mio padre – spiega Caterina Ceraudo che, dopo la laurea in enologia, è andata a studiare da Niko Romito – ho scoperto questa rapa selvatica e l’ho assaggiata. Era molto amara. Mio papà Roberto mi ha detto: “Io la mangiavo quando ero bambino”. Era un elemento che mi piaceva». E questo è il presente.

La chef del ristorante Dattilo ha preparato il piatto Bianco
Ma la memoria viaggia dalla vigna di famiglia al mare, con la sogliola. «La sogliola è il pesce che si dà soprattutto ai bambini. E mi ricorda mio zio
Carlo, scomparso da circa un anno, che quando andava a pescare ci portava proprio la sogliola. Che comunque è un pesce nobilissimo».
E poi c’è un altro elemento del passato, che è il latte, il primo sapore che prova il neonato: Caterina lo utilizza realizzando una crema con champagne e latte. Infine c’è una parte dolce, con dei fiori di favino, che riportano alla vigna, visto che sono utilizzati per il sovescio apportando naturalmente azoto al terreno. Il piatto al primo boccone è spiazzante, ma il ritorno aromatico è tale da far venire voglia di continuare nell’assaggio, dove freschezza e grassezza del pesce vanno a equilibrarsi, per poi sposarsi perfettamente con lo champagne. Un altro capolavoro di Caterina Ceraudo che, nelle ultime tre edizioni di Identità di Champagne, è riuscita sempre a stupire.

L'intervento di Solaika Marrocco
SOLAIKA MARROCCO: UNA QUESTIONE DI PANCIA – Istinto e, forse, la spregiudicatezza dettata dalla giovane età.
Solaika Marrocco, infatti, ha 23 anni, anche se fin da piccola era abituata a girare tra fornelli e mestoli. La sua scelta di abbinamento con la
Grande Dame è stata una
Questione di pancia.
«E questo non solo perché utilizzo la pancia di maiale – spiega la giovane cuoca del Primo Restaurant di Lecce – ma perché è stato istintivo. Una decisione “di pancia”, appunto».

Questione di pancia è stato il piatto presentato dalla giovane chef
La sua costruzione delle nuove memorie non è una “semplice” reinterpretazione della tradizione. «Bisogna spostare le prospettive, cambiare sguardo sulle cose. Faccio un esempio, legato proprio al piatto: le fave sono sempre state considerate solo come accompagnamento. Nella mia preparazione le fave, trasformate in una crema, diventano un elemento fondamentale del piatto. E’ un lavoro più complesso rispetto alla reinterpretazione della tradizione».
L’altro elemento fondamentale è - ovviamente - la pancia di maiale, cotta sottovuoto a 67 gradi per sei ore e poi rinvenuta. Il risultato ha convinto e il piatto è stato il terzo elogio al Pinot Noir della giornata.