Ugo, ma perché la pizza è tanto di moda, anche tra gli chef? L’Ugo in questione di cognome fa Alciati, è chef a sua volta, anzi tra i più celebri e celebrati, rampollo di cotanta famiglia ma di quelli che, come dire, non si limitano a mettere in banca l’eredità, pronto il biglietto per i Caraibi. Si è costruito la sua carriera e ne è giustamente orgoglioso. E tale orgoglio lo mette anche nella premessa alla risposta che ci dà: «Allora, dico innanzi tutto che il mio interesse per la pizza risale almeno a una ventina d’anni fa. E deriva da una cosa molto semplice: è forse la cosa che mangio di più di tutte!».
Va bene, Ugo, per te non è una moda. A maggior ragione ti chiedo: perché tutto questo interesse da parte vostra? «Per più di un motivo. Intanto, la pizza è bella perché fa da piatto unico. Poi, perché si può spaziare con la fantasia, in mille modi diversi. E’ stimolante. Per qualche centinaio d’anni è rimasta quasi immutata: solo le versione classiche. Oggi che si è superata tale logica, ci sono potenzialità enormi».

Una delle pizze di Alciati, la margherita “rivisitata” con la maionese di pomodoro e l’essenza di basilico (foto Rocco Moliterni)
Interessante il seguente paragone: «Pensiamo al gelato, sapete che ne produco parecchio. Io dico sempre: c’è il fiordilatte, che è la base, e poi puoi aggiungere quello che vuoi, lavorarci sopra con mille possibilità. Per la pizza è lo stesso: hai la base, il disco, dopo sono leciti i voli pindarici».
Per la verità, aggiunge Alciati, non è esattamente così: «Chiaro che i miei colleghi chef badino soprattutto a quello che si mette sopra, alla pizza. Proprio perché anche il topping non ha avuto alcuna evoluzione per un sacco di tempo». Lui si pone da un punto di vista diverso: «Sono nato pasticcere, ovvio che sia attento anche e soprattutto alle lievitazioni…». Che poi, è la sostanza: «Parliamoci chiaro: chiunque è capace di comprare ottime materie prime e metterle sopra una pizza. La parte più difficile invece è sfornare un disco che sia buono e digeribile».
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Alciati non a caso: qualche tempo fa lo chef si è cimentato in un menu-tutto-pizza, ospite della pizzeria
480 Gradi di Bra: «Ho pensato le pizze come fossero le portate di un menu, ovviamente riducendo la grandezza di ognuna. Abbiamo un primo all’insegna della freschezza, ossia la margherita “rivisitata” con la maionese di pomodoro e l’essenza di basilico, un secondo “consistente” ma al tempo stesso leggero che è la pizza con il filetto di manzo e le alici di Cetara, già trasposizione di un mio piatto classico». Bis col dolce: da
Alciati si mangia da sempre una pesca “ripiena” (di amaretti e cioccolato), che diventa topping, «perché la logica è usare l’impasto già cotto e sormontarlo con una ricetta».

Un'altra pizza di Alciati, con carne cruda all'Albese e alici di Cetara (foto Rocco Moliterni)
«Avevo pensato - confessa - di mettere i plin sulla pizza. Ma poi mi son detto che non era il caso di esagerare. Se uno vuole i plin viene al ristorante». Confessione: «Una volta si diceva: “Non ho scelto di fare lo chef per soldi, altrimenti aprivo una pizzeria”. Perché spesso tali locali offrivano prodotti di basso livello e poca professionalità al forno». Ora non è più solo così, per fortuna («Ma quante sono le pizzerie di qualità in Italia? Forse 20? Oppure 50? Ci sono sempre troppi pizzaioli improvvisati»).
Domanda finale: ami la pizza. Dove andrai a mangiarla, la prossima volta? «Mi parlano molto bene del nuovo Gusto Madre ad Alba. Ho già prenotato (e noi ne abbiamo parlato qui)».