Tutelare il palato: più che un’opportunità, un dovere per chi lavora a un solo obiettivo, soddisfare le papille del cliente.
Il fatto: a chi vuol entrare nella brigata della Gastronavicella-Trattoria Zappatori, viene sottoposto un documento da firmare. Non è un contratto, non ha valore legale, è un semplice impegno, un patto d’onore. Una carta d’intenti, come la chiama il suo estensore.
Dice che il sottoscrittore s’impegna a 1) mangiare poco e in modo regolare, per evitare sonnolenza e cali d'attenzione (è una misura redatta soprattutto pensando al passato); 2) assaggiare di tutto, e la sollecitazione non ha bisogno di alcun commento; 3) non bere, o bere poco, in particolare superalcolici; 4) non fumare; 5) aver cura del proprio fisico e dare a se stesso le giuste ore di riposo, che in fondo ricomprende in sé tutte le altre e la amplia in una visione più generale.

Lo chef Christian Milone impegnato a Identità Milano
Potranno sembrare a prima vista richieste draconiane, inflessibili, eccessive, estremiste. Folli? Pensateci, non lo sono. «Noi chef pensiamo sempre più al benessere del cliente. Ecco, dobbiamo anche tutelare la nostra, di salute», e il verbo chiave è: dovere. A parlare è colui che non t’aspetti,
Christian Milone, un giovane chef spesso circondato dall’aura del talentuoso tutto genio e sregolatezza. «Falso», dice lui, forte di un stra-ricordato passato da ciclista, dunque d’atleta, che gli ha insegnato il rigore e l’autocontrollo, la disciplina e la salvaguardia della propria forma fisica. Ma dunque, chef, siamo all’imposizione di stili di vita a chi fa parte della tua brigata? Non esageri?
Milone ti fissa con i suoi occhi azzurri, che trasudano determinazione: «Sempre più s’afferma l’immagine del cuoco-rockstar, che conduce una vita spericolata e beve di tutto fino alle 8 del mattino. Passa per essere la normalità, non la è. Qual è il nostro strumento del mestiere? Facile, il palato. Quindi non possiamo permetterci comportamenti che ne compromettano l’integrità».
Ecco dunque, allora, la carta d’intenti, «che è una presa di coscienza. All’Alberghiero insegnano che in cucina non si debbano portare orecchini, che bisogna tagliarsi barba e capelli… Cavolate. Credo che una collanina non significhi mancanza di rispetto del cliente, mentre lo è fumarsi un pacchetto di sigarette poco prima del servizio, alterando quindi la percezione del gusto di un piatto che si andrà a servire da lì a poco».
Milone racconta che sono riflessioni che hanno trovato sbocco mentre era in Ucraina, per un recente congresso di cucina: «Mi domandavo cosa avrei potuto dire ai miei giovani colleghi di Kiev. Che senso poteva avere consigliare loro di comprare un paco jet o spiegare l’uso dell’azoto liquido? Poi ho capito quali parole avrei dovuto invece usare: “Investite sul vostro palato”».

La brigata della Gastronavicella-Trattoria Zappatori
Chi lavora a Pinerolo già lo sapeva: focus sulla moderazione negli stili di vita, «il che non significa comportamenti virtuosi solo sul posto di lavoro! Si è cuochi 365 giorni all’anno, 24 ore su 24. Anche in vacanza bisogna evitare certi comportamenti degenerati - e inaccettabili - sempre più diffusi. E’ una questione non etica, bensì di serietà professionale nei confronti di chi viene a mangiare. Ma non solo: «Se siamo un team dobbiamo parlare lo stesso linguaggio, condividere la filosofia di fondo». Perché, ovviamente, lo sforzo che
Milone chiede ai suoi, è lui stesso a pretenderlo per primo da se stesso, «me l’ha insegnato il mio maestro
Enrico Crippa, l’esempio viene dall’alto».
Si rischia di far la figura dell’integralista… «Non lo sono affatto, non entro a piedi pari nella vita privata dei singoli. Chiaro che uno può fumarsi una sigaretta in santa pace o bersi un bicchiere. Ciò che contrasto sono i messaggi sbagliati che vengono veicolati ai ragazzi che studiano per fare questo mestiere; in questo modo non prendono coscienza di dove vanno e di cosa si chiederà loro. Le scuole non insegnano i parametri giusti. Invece voglio che coloro i quali vengono a lavorare da me abbiano ben chiaro i loro doveri» ma anche i loro diritti, «poiché se voglio tutelare il benessere fisico dei miei dipendenti, dovrò anche fare in modo che possano lavorare in un ambiante salubre, con turni e carichi di lavoro umani. Io mi impegno in questo senso, perché credo in ciò che sto dicendo»
Non saprei cosa obiettare.