25-12-2020

Il futuro dei vini dell'Alto Adige: si punta su altitudine e sostenibilità

Il direttore del consorzio: «Ci sono 5 pilastri per questo percorso: il suolo, i vigneti, il vino, le persone e il territorio»

I progetti dei vini dell'Alto Adige passano da

I progetti dei vini dell'Alto Adige passano dalla sostenibilità

Altitudine e sostenibilità. Sono soprattutto questi due aspetti sul quale il Consorzio vini dell’Alto Adige punta per il futuro. La conferma è arrivata durante un incontro online al quale ha partecipato anche il direttore del Consorzio, Eduard Bernhart, che ha sottolineato come quella dell’Alto Adige sia una viticoltura di montagna, caratterizzata da vigneti che arrivano e in certi casi superano i mille metri di altitudine. Un fattore, questo, che li rende sicuramente unici.

E un fattore che è stato anche tra i protagonisti della degustazione, condotta dal sommelier Eros Teboni, di sei vini altoatesini: «Questa selezioni vuole far capire il potenziale dell’Alto Adige».

Vigneti in montagna, una delle caratteristiche dell'Alto Adige

Vigneti in montagna, una delle caratteristiche dell'Alto Adige

Prima, però, è giusto fare un quadro della situazione: al momento sono presenti 218 aziende, con una produzione annua di 330.000 ettolitri di vino, 40 milioni di bottiglie, che rappresenta lo 0,7% complessivo della produzione italiana. In totale ci sono 5.500 ettari, il 62% con vitigni a bacca bianca, il rimanente 38% a bacca rossa. La produzione di spumanti, invece, rappresenta una nicchia di 400mila bottiglie annue, anche se stanno aumentando i produttori che credono nel Metodo classico.

Come si diceva, le altitudini: «Essendo una viticoltura di montagna – ha spiegato Teboni – ci troviamo di fronte a forti escursioni termiche, che vanno dai 10, ai 15 o ai 18 gradi. E questo è sicuramente un fattore importante sia per l’aromaticità, sia per l’acidità, con quest’ultimo aspetto che conferisce ai vini anche maggiore longevità».

Un grafico che rappresenta la suddivisione dei vitigni sul territorio altoatesino

Un grafico che rappresenta la suddivisione dei vitigni sul territorio altoatesino

L’Alto Adige è conosciuto soprattutto per i bianchi, ma non è sempre stato così: nel 1978, per esempio, l’80% erano vini rossi. «Successivamente – spiega ancora Teboni – si è andati alla massima ricerca della qualità, soprattutto studiando i terreni e attuando la zonazione. Così si è andati a estirpare vitigni a bacca rossa, in particolare Schiava, per virare sui bianchi».

Tra il 2000 e il 2010 c’è stato il “sorpasso”, fino ad arrivare ai dati odierni, con il 62% di bianchi.

Il futuro della zona è ben definito dal direttore Eduard Bernhart, con la qualità che deve andare a pari passo con la sostenibilità. «Abbiamo avviato un progetto per il periodo 2020-2030 per creare il nostro futuro, puntando proprio sulla sostenibilità. È un progetto studiato con i nostri soci, l’università e il nostro centro di ricerca. Così abbiamo definito 5 pilastri per questo percorso: il suolo, i vigneti, il vino, le persone e il territorio».

Per ogni pilastro, un obiettivo specifico. Per il suolo, difesa sostenibile dell’integrità del suolo e delle risorse idriche. Per i vigneti, protezione degli impianti e salvaguardia della biodiversità. Per il vino, impronta del carbonio e tutela del clima. Per le persone, sensibilizzazione e comunicazioni. Per il territorio, infine, filiere locali ed economia circolare.

La degustazione ha permesso di valutare la qualità dei prodotti altoatesini, a parte dal Blanc del Blancs 600 di Kurtatsch, annata 2014, uno Chardonnay in purezza (con il 20% affinato in legno) dalla buona persistenza, con un profilo aromatico netto e abbastanza complesso e una buona bevibilità.

Più strutturato, ma anche molto fresco, l’Extra Brut Riserva 2013 di Arunda. Un vino che sente dell’apporto del Pinot Nero (40%) che gli conferisce struttura e un bouquet molto complesso, mentre in bocca stupisce per la sua verticalità e lunghezza.  «Siamo un’azienda nata nel 1979 con l’idea di fare spumanti – spiega Josef Reiterer – Abbiamo iniziato nel mio paese a 1.200 metri a fare le prime prove di rifermentazione. Il coraggio di quell’epoca ci ha dato ragione». Reiterer è anche presidente dell’Associazione produttori spumanti dell’Alto Adige, che oggi conta di 10 aziende che realizzano metodo classico.

Josef Reiterer di Arunda in cantina

Josef Reiterer di Arunda in cantina

Di tutt’altro stampo il Brut Rosè Athesis di Kettmeir, con una parte di Pinot Nero vinificato in rosé e il rimanente Chardonnay: un naso abbastanza delicato con frutti di bosco, in bocca ha una discreta freschezza. Un vino più semplice, ma di buona qualità.

Passando ai vini fermi, invece, l’assaggio del Praesulis 2019 di Gump Hof è sorprendente: un Pinot Bianco che nasce in altitudine e che, grazie a questo fattore, guadagna in freschezza e in sapidità, ma anche dal punto di vista olfattivo riesce a esprimere un’aromaticità inaspettata. E con grandi possibilità di affinamento.

Daniel Pfitscher in mezzo alle vigne dell'azienda

Daniel Pfitscher in mezzo alle vigne dell'azienda

In Valle Isarco nasce invece il Kerner Sabiona 2018 della Cantina Valle Isarco, da terreni dolomitici con alta concentrazione di porfido: un’altra “chicca” del variegato mondo vitivinicolo altoatesino, con un naso quasi dolce, di mandorla e di frutta, che in bocca si trasforma grazie alla grande acidità del vitigno stesso e con un finale che sa quasi di salvia.

Infine un vino rosso: il Pinot Nero Riserva Matan di Pfitscher. «La nostra azienda si trova a Montagna – spiega Daniel Pfitscher – e lavora 20 ettari di vigneto con un focus proprio sul Pinot Nero, in particolare con i terreni di Gleno che, insieme a quelli di Mazon, sono considerati quelli maggiormente vocati. Ora abbiamo sviluppato un nuovo progetto, legato al Metodo Classico, sempre da Pinot Nero. La Riserva Matan viene prodotta dal 1995: il vigneto è  550 metri di altitudine, e la 2018 è in sostanza un’anteprima».

È un vino piacevole da subito, con un grande frutto, ma anche sentori di tè nero e ginepro. In bocca è molto piacevole, anche se siamo consapevoli che abbia ancora bisogno di affinamento. Senza contare che si tratta di un vino che può dare soddisfazioni nel tempo.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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