Si sale sull’Altopiano di Asiago ormai sapendo che per noi è un punto d’arrivo, per altri uno di partenza verso luoghi ancor più elevati: le vette dell’alta cucina. Vi abbiamo già raccontato il grandissimo lavoro di Alessandro Dal Degan (leggi: Il favoloso mondo di Dal Degan), cantore culinario di queste terre, “l’Altopiano è un mondo di aromi, Dal Degan ne è il demiurgo contemporaneo” avevamo scritto, e il suo Orzo, terra e acqua è stato poi premiato come piatto dell'anno dalle Guide de L'Espresso 2018. Ora sono giunti altri allori: sono andati ad Alessio Longhini, classe 1988, giovane chef dell’anno per la guida Michelin.
Un volto piuttosto nuovo, per il firmamento goloso: nella stessa occasione la Rossa ha attribuito la prima stella alla sua Stube Gourmet, il ristorante gastronomico all’interno dell’hotel Europa di Asiago, dove lo chef lavora da ormai cinque anni; la Guida di Identità Golose lo recensisce dall’edizione 2015, l’ultima cartacea, “c’è un nuovo giovane che cerca di assicurarsi un posto, nel futuro breve, tra gli artisti consolidati della ristorazione”, esordiva il pezzo a firma Adriano De Grandis.
Proprio poco prima della recente consacrazione, chi scrive è andato a conoscere la cucina di questo giovane emergente, proprio nel giorno in cui compiva gli anni, 29 per la precisione, e beato lui. Ne avevamo ricavato un’impressione precisa. Quella di uno chef che non ha scelto di percorrere l’affascinante sentiero di recupero filologico del patrimonio gastronomico locale che è l’anima intensa dell’opera di
Dal Degan (e la chiudiamo qui: non ha senso indulgere oltre in paralleli impropri), ma di tracciare la propria strada «45% nel territorio, 55% nello spazio».
Longhini non pretende insomma di fare del proprio stile - necessariamente in fieri, data la giovane età – una filosofia di cucina tout court. Ma sfrutta bene le opportunità che gli offre il dintorno e non solo: «Quando sono arrivato, avevamo difficoltà a trovare fornitori asiaghesi di qualità: nessuno lavorava per i ristoranti, gli agricoltori si limitavano all’autoproduzione. Ora il quadro è cambiato e ne possiamo approfittare: trovo tante verdure bio, noi non abbiamo un orto, e interagiamo con la rete di artigiani del gusto locali che nel frattempo si è formata». Una ricchezza in più, che lo chef sa mettere a frutto; con l’ulteriore particolarità della “stagione spostata” – per ragioni climatiche – che lì fa maturare piselli e fave a fine luglio, per dire.

Longhini in una foto di un paio di anni fa
Longhini all’
Europa di Asiago è chiamato a sovrintendere tre offerte gastronomiche diverse: quella semplice dell’
Osteria Europa, 45 coperti aperti al turista di passaggio; quella tipica del
St.Hubertus, omonimo del neo-tristellato sudtirolese ma in questo caso classico ristorante d’albergo con 50 posti; infine i pochi tavoli della
Stube Gourmet, appunto. Un bell’impegno, che lo chef affronta sfruttando due punti di forza principali.
Il primo è il proprio talento, che deve qualcosa all’ambiente familiare in cui è nato – ha anche cugini macellai – e molto a un curriculum che l’ha portato ad apprendere presso i fornelli di due big: Corrado Fasolato al Met di Venezia, un anno e mezzo intenso, nel 2010, dopo i passi d'esordio in alcune insegne di Asiago e un salto alle Isole Cayman, per otto mesi; poi proseguendo la formazione presso l’altro St.Hubertus di questa storia, che in questo caso è proprio l’insegna di Norbert Niederkofler, «cioè colui che considero il mio maggiore maestro» (leggi anche: Il grande giorno di Niederkofler e dei suoi ex allievi).

Longhini con il suo maestro Niederkofler alla recente premiazione della Michelin, che li ha visti protagonisti
Se dunque esperienze, propensioni e anche accidentalità lo hanno portato a elaborare una cucina salda, di buona tecnica e sapore sicuro, senza svolazzi («Non amo troppo amaro e acido, preferisco le note dolci. E amo il mondo vegetale!») ma assai godibile, l’altro plus che può annoverare sta in sala. Si chiama
Jgor Tessari, a sua volta asiaghese doc: alla
Stube Gourmet da quattro anni, miglior maître per la
Guida Identità Golose 2016, con la seguente motivazione: “Ci sono ventenni che lasciano il paese dove sono nati per andare alla conquista del mondo e vi tornano da pensionati. E ve ne sono altri che, carpito e capito il mestiere, tornano sui loro passi e il mondo lo invitano a casa loro come fa
Jgor Tessari nella sua Asiago. Maître serio, mai serioso”.

Alessio Longhini, Jacopo Crosta e Jgor Tessari
Lui è classe 1986 che lavorava al
Trussardi con
Andrea Berton ai tempi dell’uno-due stellato. «Qui mi massacrano, figurarsi alle
Calandre», pensò quando gli si parò di fronte la possibilità di spostarsi alla corte degli
Alajmo. Ma gli asiaghesi son persone tenaci, che sanno anche soffrire: e nei suoi quattro anni e mezzo con
Max & Raf,
Tessari ha imparato tutti i segreti del mestiere (leggi anche:
Maître di montagna), complice un insegnante del calibro di
Angelo Sabbadin, che oggi scrive: “Quando ho conosciuto
Jgor sono stato molto diffidente nei suoi confronti, non mi piace condividere il sapere e i segreti del mio mestiere conquistati con molta fatica e impegno. (Ma poi) ha capito che non si serve solo una bottiglia di vino, ma molto di più; si serve emozione, poesia, storia, territorio, cultura, fatica, costanza, impegno”.

Sala e cucina della Stube Gourmet: da sinistra Jgor Tessari, Leonardo Causin, Alessio Longhini, Francesco Milano,Federico Vellar, Cristian Doro. Mancano il sous Jacopo Crosta e Marcello Zampese
Sono parole che si leggono nella prefazione alla bella carta del vino della
Stube Gourmet. Quella delle pietanze invece propone due menu, “
Gadénkhe” (ossia “memoria” in cimbro, la lingua dell’Altopiano), coi piatti della tradizione rivisitata; e “
Luugar”, ossia “sguardo”, la proposta più contemporanea. Noi abbiamo optato per quest’ultima: e potete assaporarla con gli occhi, grazie alla fotogallery firmata
Tanio Liotta.