18-11-2015

In viaggio dal casaro-alchimista

Incontro con Marco Bernini, una vita spericolata. Ora i suoi erborinati fanno impazzire gli chef

"Erica blu", un erborinato stile stilton prodotto da Marco Bernini nella sua fattoria La Cavarchella, via Ca’ d’Andrino 6, Pozzol Groppo (Al), fattoriabernini@gmail.com (foto Passera)

Sarà vero? Il web comincia a popolarsi di racconti che fanno storcere il naso, narrano la storia di un uomo che ha dell’incredibile: fotografo di successo nella Milano da bere, cacciatore in Kazakistan, meccanico, uomo-scimpanzé per due settimane appollaiato su un albero per immortalare animali, venditore di birra artigianale per centri sociali, con un capannone non a regola ma difeso dai rom contro i raid dei vigili urbani. E ancora: ladro di muffe con tamponi in giro per caseifici e grotte, mister-adrenalina da due ore di sonno a notte, ardimentoso al seguito della Parigi-Dakar, studioso autodidatta dei metodi usati dai frati trappisti.

Sembra il ritratto vergato da un ottimo ufficio marketing, la costruzione pianificata di una storia avventurosa, tutto talento e dissolutezza, fino alla redenzione nel paesello sperduto tra la natura. Fin troppo border line: dunque sarà vero? Il dubbio s’insinua. Però i formaggi di Marco Bernini sono davvero squisiti… 

E allora saliamo a Pozzol Groppo, 389 abitanti nel Tortonese, provincia di Alessandria, su un crinale che fa da spartiacque tra la val Curone e la Staffora. I 380 metri sul livello del mare si fanno sentire, il paesaggio prende un che di selvaggio, le colline pettinate più in basso lasciano il posto a boschi incolti, case sparse, una ruralità che appare autentica, pur a nemmeno 80 km da Milano. Il classico buen retiro di chi è in fuga dalla città?

L’interessato, ora 51enne, ce la racconta così: «Avevo questo capannone in via Ventura, zona Milano Lambrate: dai miei 16 ai 36 anni mi era servito da studio fotografico. Bel giro d’affari. Poi la crisi, la riconversione a microbirrificio, 30mila bottiglie l’anno dove prima c’erano i set per gli scatti, 6 tipologie diverse con le quali rifornivo tre campi rom, ho vissuto da loro un mese per coglierne i gusti». Ma i costi erano comunque troppo elevati.

Si ritrova in Gran Bretagna, nel 2000, a un mercatino di moto usate. Incontra un amico rabdomante che gli consiglia l’acquisto di un cascinale a Ca’ d’Andrino di Pozzol Groppo, un pugno di abitazioni ma l’aria gli è familiare, il padre – che lavorava allo storico caseificio Castelli - aveva un allevamento di cani nella vicina Rivanazzano, valle Staffora. Bernini coglie al balzo il suggerimento, l’intenzione è di trasferirvi il birrificio, poi le cose si mettono di nuovo male e… «non avevo i soldi per mettere tutto a norma, così ho comprato un gregge di capre».

Andrea Ribaldone, al mio fianco, osserva sorridente il dipanarsi del racconto. Ci siamo fatti accompagnare da lui in questa trasferta tortonese perché proprio a I Due Buoi abbiamo assaggiato la prima volta gli erborinati di Bernini. Di più: lo chef è la coscienza critica dello spericolato casaro, colui che s’incarica d’indirizzarne le continue sperimentazioni verso la costruzione di una sorta di “formaggio gastronomico”.

Ma l’avventura incalza, davanti a un bicchiere di suo barbera novello: «Non lontano da qui viveva un anziano, mi dissero che era un mago dei formaggi. Io non l’ho mai visto, anche in seguito gli ho parlato solo per telefono, ora è venuto a mancare. Comunque, lo chiamai e mi fece: “Prendi uno yogurt della Müller e realizza una crescenza. Studia il processo per tre anni, poi avrai in mano tutti i segreti della caseificazione"». Siamo quasi alla leggenda, al mito del demiurgo irraggiungibile in vita e ora, più ancora, nella morte. Però la cascina intorno trasuda verità, il nuovo laboratorio tirato a lucido è pronto per l’inaugurazione, Ribaldone certifica e poi i formaggi sono così buoni…

Allora proseguiamo. «Ho imparato. Ho studiato. Dove? Sui libri e tanto su internet (la modernità irrompe nel paesaggio bucolico, è funzionale al racconto, ndr). Alla fine ho capito che non dovevo troppo discostarmi dalle tecniche di birrificazione, gli starter per la fermentazione li prendo da lì. Oggi governo perfettamente il processo mutuando le conoscenze dei frati trappisti: innesco un’erborinatura, controllo l’acidità, uso metodi simili a quello del brus. Poi mi si apre un mondo». Sono formaggi voluti, chiosa lo chef. Accompagnati al loro straordinario esito.

Bernini con Andrea Ribaldone

Bernini con Andrea Ribaldone

L’artigianalità è il confine invalicabile, «oltre i 35 chili di formaggi al giorno non si gestisce il ph». Se la quantità ha un orizzonte limitato, la qualità è una prateria tutta da cavalcare. Oggi Bernini ha sul curriculum 130 erborinati, nati nei modi più disparati. Tanti altri verranno. Altro episodio: «Ho conosciuto per caso degli arabi, erano da queste parti per la Fiocchi, quelli delle munizioni. Faccio assaggiare loro il mio pouligny, avevo provato a farlo coi datteri. Ora ho un grappolo da 24 chili che mi attende in Iran, è quasi maturo».

C’è anche il formaggio “tandoori”, che non piace a Ribaldone. C’è l’altro, “Solo da un quarto di luna”, con sentori di acciughe e capperi. Quello nel malto d’orzo, “Torsolo di vacca”. “Battista” racchiude il mallo delle noci, a San Giovanni Battista è legata la preparazione del nocino. “Culo e camicia” si basa «sul metodo-cadrega: ossia aspettare. S’innesca la proteolisi in bianco, poi si fa una seconda forma mentre la prima matura e sarà la madre che innescherà la proteolisi del figlio». La cassatina al pistacchio in crosta di roquefort evolve in un processo anaerobico naturale, così dentro rimane fresca. Che dire? Sono, appunto, magici al palato, favolosi. Si sposano a meraviglia col racconto e con la tavola.

Bernini dimentica di andare a prendere i figli a scuola, Lorenzo di 10 anni e Sofia di 9. Discute al telefono con la moglie, ex sassofonista. Il cane passeggia placido. Tutt’attorno alla cascina c’è profumo di pane, se lo produce da sé, con un blend di 14 grani antichi e biodinamici coltivati da Fausto Andi. Vuole produrre una bevanda simil-Coca Cola a basso grado alcolico, sempre attraverso la birrificazione. Racconta, racconta… Un genio? La sua storia è finita anche nel capitolo di un libretto intitolato M’invento un lavoro. Ecco: se c’è un ufficio marketing dietro tutto questo, chapeau


Carlo Mangio

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La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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