Emanuele Scarello e Gianluca Fusto sono amici da 8 anni. Quel giorno, il cuoco udinese telefonò in Valrhona e all’altro capo tirò su per caso il pasticcere milanese (di sangue friulano). Fu l’inizio di un’amicizia e di una collaborazione, cementate nel tempo dalle grasse risate ma anche da serissimi lavori indirizzati a dar coerenza alla cucina leggera del primo coi dessert del secondo, un inno dai tenori zuccherini altrettanto ridotti al lumicino.
«Sai cosa vuol dire dessert? Mi spiegò Fusto», rammenta Scarello, «Desservire, costruire cioè un nuovo momento a tavola, in continuità però con tutto quello che è venuto prima. Una cosa che non ho mai dimenticato». Il concettò arrivò subito anche al giapponese Tatsuya Iwasaki, a lungo pastry-chef cult Agli Amici di Godia, instradato dalla stesso Fusto. Se oggi Tatsu è in Spagna a far ricerca, il suo ex mentore fa ancora spesso capolino in cucina a Godia per scambiare alchimie con l’amicone. «E’ il tuo pasticcere occulto», scherzò un giorno Paolo Marchi rivolto a Scarello.

Scarello, 2 stelle Michelin da una settimana, e le mele messe in pentola da Fusto
Alla luce del sole o nell’ombra che sia, nel rapporto prevale sempre il rispetto dei ruoli: «Io gli dico prendi il blu e mettilo vicino al verde», spiega
Gianluca, «Ma poi è lui a dare un volto ai due colori». Esempio? Una volta
Fusto gli spiegò che era inutile presentare troppi pezzi nella piccola pasticceria: «Meglio farne 4 buonissimi che 7 appena buoni. Per esempio un bignè al marsala», suggerì il pasticcere. «Hai ragione», ribattè il cuoco, «ma al posto del marsala dobbiamo usare il
picolit delle mie terre». «E il food cost?». «Pazienza», tagliò corto
Scarello.
O ancora: «Facciamo anche un macaron?», propose il cuoco. «No, lo fanno tutti», ribattè il pasticcere. «Ma se milioni di italiani mangiano la pizza, mica si sbaglieranno, no?». «Forse hai ragione. Disegniamolo italiano, però: con mandorle, oliva e limone». E così fu.
E allora è un attimo che i due si trovino tra poco sotto lo stesso tetto a fare outing: il 3 dicembre al Ratanà di Milano cucineranno un menu tutto giocato sull’acqua dei vari alimenti, «perché l’acqua è vita», dice Fusto. «E in gastronomia», interviene il gemello, «è anche la quintessenza della freschezza, come quella che estrai da un pomodoro: è la sua forza e veicola i sapori come niente altro». Ci attende allora una pura cena di prodotto, con un menu che anticipiamo qui sotto con le parole dei due interpreti:
1) Il “mio” Zuf di Coce
«È una minestra tradizionale», spiega Scarello, «che un tempo si mangiava intingendo un cucchiaio di polenta e zucca in una tazzina di latte ghiacciato. Zucca e latte sono ancora le assi portanti. Solo che la prima la facciamo semicandita, e poi ci serviamo sopra yogurt, semi di zucca e ricotta affumicata. L’acqua di estrazione è quella della zucca, cui aggiungiamo un tocco di zenzero, tipico della friulanità».

Mele, lenticchie e mandorle: il dessert della cena del 3 dicembre
2) Estratto di cavolfiore e colatura di alici con calamari e salsa d’aglio dolce
«È un purè solido di cavolfiore, con la colatura a donare la parte sapida. I calamari, cotti leggermente in bassa, sono molto delicati».
3) Patata mantecata all’olio nuovo, ricciola, castraure e il loro brodo
«È la nostra patata di Godia, mantecata con olio nuovo. Il gioco dell’acqua è contenuto qui nel brodo di castraura (bocciolo di carciofi, ndr)».
4) Gnocchi di Godia grigliati e zuppetta di kren
«Lo gnocco è ripieno di bollito».
5) Pizza NoStrana
«Una sorpresa...»
6) Pezzata Rossa Friulana
«Controfiletto scottato, lingua leggermente salmistrata e pralina di anteriore.
E così arriviamo al dolce di Fusto:
Mele, tè Jasmine, lenticchie e mandorle
«E’ un dessert molto legato alla terra: niente gelificanti, tutto solo a estrazione naturale».