La cucina giapponese esercita un fascino che ha conquistato e continua a conquistare tutto il mondo. Non a caso lo scorso dicembre l’Unesco ha inserito il washoku – cibo tradizionale nipponico – nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità. Nel corso di una serie di incontri milanesi svoltisi tra il 14 febbraio e il 13 marzo, il Maff - ministero dell’Agricoltura, delle foreste e della pesca giapponese - sta raccontando la bellezza di una nazione che fa delle proprie risorse naturali, della stagionalità e dell’arte dell’ospitalità i segreti della sua cultura gastronomica.
Questi aspetti hanno trovato grande espressione in un incontro avvenuto a Milano con il maestro Akira Oshima, una vera autorità in materia di alta cucina nipponica. Sin dal 2006, Oshima si adopera per la diffusione della cultura del cibo giapponese, impegno che gli è valso l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Orange-Nassau nei Paesi Bassi. L’appuntamento nella scuola di cucina milanese InKitchen ha rappresentato un’occasione unica per conoscere e approfondire il Kaiseki Ryori, l’alta cucina giapponese e l’arte dell’ospitalità a essa legata.

Le componenti del dashi. Da destra a sinistra: funghi shiitake e alghe kombu, niboshi e katsuobushi
Non si tratta di semplici tradizioni ma di un patrimonio culturale che affonda le sue radici nel sedicesimo secolo e che, in principio, era legato alla cerimonia del tè. Il
Kaiseki si basa su un concetto fondamentale, l’
umami. In cucina vi sono infatti 4 sapori comunemente decodificati: dolce, salato, acido e amaro, comuni a tutte le culture gastronomiche. Solo quella nipponica ha decodificato, attraverso studi scientifici approfonditi, l'umami, in italiano tradotto più o meno con "squisitezza".
Come ben spiegato e dimostrato in una lezione di circa due ore dallo chef
Oshima, l’umami si ottiene grazie alla perfetta armonizzazione di quegli ingredienti che per loro natura lo contengono. Importante è stato, in tal senso, seguire lo chef nella preparazione di una pietanza base del
kaiseki: il
dashi, una zuppa ottenuta dalla combinazione di alga
kombu,
katsuobushi (fiocchi di tonnetto esiccati e fermentati),
niboshi (sardine essiccate) e funghi
shiitake secchi. Ognuno di questi quattro elementi contiene l’acido inosinico, il guanulato o l’acido glutammico. Tutte sostanze che generano il gusto umami e che si possono ritrovare in alcuni ingredienti italiani quali la carne di manzo e vitello, le carote, i funghi, i pomodori…

Sashimi di tonno, salmone e orata
La squisitezza però non è solo il giusto rapporto tra inosinato, guanulato o glutammato ma ha una valenza importante per la salute del nostro organismo. La cucina
kaiseki è infatti un tagliare e bollire elementi che non contengono alcun elemento grasso come olio o burro perché sono condimenti ricchi di umami. Oltre al bollire e quindi ai dashi nelle loro varie declinazioni
ichiban e
niban, al centro della cucina
Kaiseki Ryori c'è il sashimi nel quale sono importanti sia una buona materia prima di partenza sia la tecnica, anzi, l’arte di saper preparare e tagliare il pesce.
La bellezza ammirata nel piccolo aperitivo preparato da
Oshima a conclusione della lezione era nel gesto che raccontava ogni volta la storia della sua nazione, ma anche il territorio. Le alghe
kombu, un agrume come lo
yuzu o la radice fresca di
wasabi sono quel Giappone che nel piatto regala squisitezza. Ed è proprio la ricerca di una definizione di
umami che ha guidato i commenti dei partecipanti lungo il corso dell’evento. La comune grammatica dei sapori italiani non è stata in grado di fornire similitudini soddisfacenti, ma sicuramente l’umami rimarrà, almeno nel personale bagaglio di chi scrive, come emozione da appagamento e stupore, figlia di cibi “squisiti”.