Tutti i grandi chef della terra hanno fatto capolino a Identità Golose in questi dieci anni, da Ferran Adrià a René Redzepi, da Andoni Luis Aduriz a Wylie Dufresne, da Pascal Barbot ai fratelli Roca, e poi i Troisgros, Colagreco, Blumenthal, Atala, gli Arzak, Aizpitarte, Ducasse con Franck Cerutti, Patterson, Alvin Leung, Magnus Nillsson, Narisawa, Daniel Humm e tanti altri ancora. Una sorta di giro del mondo nella cucina creativa che ha accompagnato passo passo la crescita parallela dei suoi alfieri tricolori, divenuta comprensibilmente sempre più centrale nel congresso.
Identità Milano 2014 schiera così una dozzina di relatori internazionali di grande prestigio, circa la metà all’esordio ufficiale: tre per Identità di Sala (Jeff Katz del Del Posto a New York, Julia Scavo de L'Âne Rouge a Nizza e Bruno Scavo del Monte Carlo’s Société des bains de mer a Monaco), altrettanti ai fornelli, ossia Yoshiaki Takazawa (dell’omonimo ristorante di fusion nippo-francese a Tokyo, massimo dieci clienti per volta) e il duo composto da Jeremy Bearman e Kristy Del Coro del Rouge Tomate a New York – per loro doppio impegno, prima a Identità Naturali e poi sul palco dell’auditorium.

Yoshiaki Takazawa, fusion nippo-francese a Tokyo (foto livingasif)
Torna poi una coppia di vecchie conoscenze di IG: matrice iberica e alla quarta partecipazione.
Quique Dacosta parlerà due volte: una in auditorium, la seconda a
Identità d’Acqua, per un’attesa lezione sulla cottura nell’acqua di mare. Fu tra i magnifici cinque chef d’importazione (con lui c’erano
Adrià,
Fau,
Aduriz e
Dufresne) a tenere a battesimo la prima edizione, anno domini 2005. Poi tornò due anni più tardi - a illustrare piatti come il
Cuba libre di foie gras e l’iconica
Ostra Guggenheim - e di nuovo nel 2009, quando protagonisti furono tartufi bianchi apparenti, frattaglie di mare e soprattutto
Maderas, un incontro tra legno e foie gras a lungo nel menu dei suoi classici
Universo Local. Nel frattempo il ristorante di Denia è cresciuto, ha cambiato nome, ha ottenuto la terza stella e si è imposto come un classico dell’avanguardia contemporanea.
Allori che devono celebrare compiutamente
Josean Alija, del
Nerua di Bilbao, a parere di molti (anche di chi scrive) ancora troppo sottovalutato: non dalla guida Identità Golose, che lo nominò “Miglior chef straniero” già nel 2010, quando la sua
naturaleza incantò anche la platea del congresso come aveva fatto pure l’anno prima, con un piatto cult come la
Melanzana laccata alla liquirizia, e avrebbe ripetuto l’anno seguente (col celebre
Tomates en salsa), in un tris da standing ovation. Questa volta il suo intervento è previsto all’interno di
Identità di Pasta.
Con
Alija e
Dacosta il 2009 vide la relazione anche di un terzo “big” che tornerà quest’anno:
Jean-François Piège, dell’omonimo ristorante parigino, considerato il più moderno dei cuochi di formazione classica, per dirla con le parole scritte da
Enzo Vizzari per IG. Ci parlò allora di
tradition permissive, ovvero una sorta di scapigliatura della classicità, quella necessaria per reinterpretare, ad esempio, la preparazione di un comunque sontuoso
pollo di Bresse. E poi rivedremo anche – poco distante da
Piège, ma solo in termini geografici – il belga
Kobe Desramaults (
In De Wulf a Heuvelland), già protagonista lo scorso anno nella pattuglia delle grandi promesse fiamminghe e quest’anno “Miglior chef straniero” per la nostra guida.
Per gli ultimi tre ospiti bisogna spostarsi molto più a Est o a Ovest. Nel primo caso incocceremo in
Yasuhiro Sasajima: gestisce a Kyoto un locale il cui nome,
Il Ghiottone, tradisce chiare influenze tricolori, e in effetti fa cucina “italian fusion”, come è stata definita, con materie prime e tecniche giapponesi. A Milano nel 2007 impressionò i palati esibendo, tra l’altro, lo spiedo di pesce grongo, simile all’anguilla, e confessò: «Me lo sono portato in valigia».
Dal Nuovo Mondo arrivano invece
Rodrigo Oliveira, del
Mocotò di San Paolo, e
Gastón Acurio, di
Astrid y Gastón a Lima: entrambi già visti su questi stessi schermi due anni fa, a testimonianza che la crescita della cucina sudamericana fu colta per tempo dalle vibrisse sensibili di
Paolo Marchi.
Acurio aveva entusiasmato con le sue ricette del
ceviche perfetto, che si incrociavano con utopie sociali e patti tra ristoratori-produttori-raccoglitori;
Oliveira aveva raccontato la sua cucina democratica, colorata, che riflette le migliori qualità della terra brasiliana. Insomma, ci avevano introdotti a un mondo (culinario) diverso. Domanda: dove ci trasporteranno questa volta?