Quando in primavera Fernanda Cunha, brasiliana, organizzatrice di eventi legati al cibo, mi ha invitato al Festival de Cultura e Gastronomia de Tiradentes, edizione numero 14, la prima cosa che ho fatto, dopo avere risposto “sì grazie, con molto piacere”, è stata quella di cerca sulle mappe dove mai fosse Tiradentes. In Italia abbiamo altri nomi in testa e poi si tratta di una cittadina di settemila anime in una nazione di oltre duecento milioni di abitanti. Però lì nello stato di Minas Gerais, capitale Belo Horizonte, Bei-Aga (BH) per chi vi vive, Tiradentes pesa molto più del numero dei suoi abitanti perché anima storica delle Città Coloniali, quella di maggior fascino, al centro di un triangolo ai cui vertici ritroviamo Belo Horizonte, Rio e San Paolo, le tre città più grandi del Paese.
Chi vi va a vivere lì – la guida
Lonely Planet rimarca come nel centro storico sopravvivano giusto una ventina di famiglie originarie della zona, e non so se sia un bene - lo fa per scappare al caos di una delle tre megalopoli, artisti soprattutto, persone di buona cultura e ottime maniere, amanti del bello e del buono.
Il festival che mi vede tra i relatori, esattamente come
Bobo Cerea, del
Vittorio a Brusaporto in provincia di Bergamo, sarà tra gli chef cucinanti, si sviluppa lungo due linee ben precise, e amiche tra loro: cultura e gastronomia. Il mio appuntamento con il microfono è per sabato prossimo 27 agosto, l’indomani la conclusione di un programma che si sta sviluppando da venerdì 19. Il filo conduttore gastronomico è di quelli che mi intrigano:
A Nova Geração, una nuova generazione ovviamente di cuochi brasiliani: “O
Festival de Tiradentes é referência no cenário gastronômico, sempre marcando presença com o que há de melhor no setor. Em 2011, reafirmando sua vocação, vai incentivar a nova geração de chefs brasileiros por meio de uma dinâmica interativa”.
Noi italiani che ci beiamo di una superiorità dettata da una varietà incredibile di prodotti, idee e tradizioni, spesso siamo ciechi davanti alle bontà che il mondo sa offrire. Trovo la frase “come si mangia bene in Italia da nessuna altra parte” di una ottusità e provincialismo assoluti. Non perché non siamo bravi, ma perché ci manca l’umiltà per guardare oltre Chiasso e informarci. Del resto basta vedere che fine stiamo facendo come sistema economico a furia di ripetere che tutta va bene.
Torno al Brasile. Cinque giorni a tavola, una prima sosta a San Paolo e una seconda a Tiradentes. Sto leggendo
Jorge Amado e sua figlia
Paloma,
La cucina di Bahia,
Einaudi 1998, e una signora di laggiù, che vive in Italia, mi ha detto che non mi servirà perché Bahia è tutto un altro Brasile, come recarsi in Toscana con un ricettario siciliano. Però mi aiuta a entrare nell’atmosfera. San Paolo per me vuole dire quattro appuntamenti a tavola,
Alex Atala e il
DOM,
Helena Rizzo e il
Manì,
Rodrigo Oliveira e il
Mocotò,
José Barattino e il ristorante
Emiliano. Salvo
Helena, tutti gli altri saranno anche tra i
protagonisti a Tiradentes dove il solo appuntamento preso è per sabato prossimo alle 11 del mattino per parlare del “O futuro da Gastronomia e da nova geração de Chefs. Panoramas: Itália e Brasil. Quais os caminhos para dar continuidade ao legado gastronômico do Brasil. Evolução constante, respeito pelo terroir”.
Trovo molto interessante sentire parlare di nuove generazioni cucinanti in una nazione che sta conoscendo uno straordinario sviluppo economico, la voglia di guadare al futuro per non ritrovarsi un giorno vecchi, la capacità di aprirsi al confronto, ben sapendo quanto sia popolare la cucina italiana in Brasile, dove vorrebbero tanto evitare le americanate delle pizze plasticose o della pasta stracotta tipiche degli Stati Uniti dove gli stessi americani oggi si ribellano all’italian sounding.
Certo che per i nostri cuochi il Brasile può essere un investimento e una fonte di ispirazione per l'incredibile varietà di prodotti e di contaminazioni come di tradizioni, una terra dove diventare protagonisti, punti di riferimento visto che uno come Barattino è cresciuto tra il Culinary Institute of America, le cucine di Atala e il Bulli. Tipo di cucina all’Emiliano? Italiana… Splendido, davvero perché i prodotti originali non mancano in dispensa, ma qualcosa, comunque, non funziona - visto dalla nostra parte - se manca un po’ di gavetta da Cracco, Cedroni o Santini.