06-07-2020

Elisa Forlanelli: dimostriamo in sala di che pasta siamo fatti

La responsabile del Feel di Como: «Accoglienza e fattore umano sono cruciali nella ristorazione post-emergenza»

Elisa Forlanelli, responsabile di sala del ristora

Elisa Forlanelli, responsabile di sala del ristorante Feel di Como, trasferito in questi mesi estivi nella cinquecentesca Villa del Grumello (ne abbiamo parlato qui)

È vero, tutto correva alla velocità della luce. Anche nel mondo della ristorazione, soprattutto per quella ristorazione che fa notizia, quella delle guide e dei grandi nomi, eravamo incalzati da un ritmo forsennato e lo saremo di nuovo a breve, ne sono certa. A volte è un po’ esasperante, anche se è proprio questa frenesia che ci tiene lucidi e creativi.

Poi è arrivato per tutti il momento di fare i conti con una situazione inedita che, personalmente, è stata molto faticosa a livello mentale. D’istinto, io e mio marito ragionavamo ogni giorno su come venirne fuori dal punto di vista imprenditoriale, perché noi viviamo di cucina in tutte le accezioni esistenti; non ci siamo dati tregua nei mesi di lockdown, per una concreta paura di non sapere cosa sarebbe accaduto l’indomani, c’era tanto su cui riflettere a tanto anche da rivedere in termini operativi.

Oltre al timore ci sono stati anche momenti di profondo disappunto, quando la nostra sorte sembrava dipendere dall’acceso dibattito sul “futuro della ristorazione”, grazie al quale ne abbiamo sentite e viste di ogni. A tal proposito, ho apprezzato molti commenti di riviste di settore, dove si ragionava ad alta voce su come coniugare necessità e cucina, necessità e servizio, necessità ed accoglienza, perché ci hanno permesso di migliorare alcuni aspetti del nostro lavoro quotidiano, così come ho odiato le chiacchiere da bar che ci hanno messo in una posizione di ulteriore difficoltà fomentando le paure del futuro cliente. In un momento così delicato, dove noi tutti eravamo più o meno fragili e influenzabili, sarebbero servite delicatezza, buon senso e rispetto per il lavoro. Sarebbe servito soprattutto discernere il locale in cui il menu è composto da 10 pagine plastificate e unte dagli anni Ottanta e il locale in cui tutti gli sforzi dello staff sono rivolti a coccolare il proprio ospite. E comunque, anche post-Covid, il mitico menu plastificato ed unto riesce a sopravvivere.

LA NUOVA SALA. Mi occupo della gestione del ristorante Feel Como che ho avviato con mio marito, chef Federico Beretta, nel 2014. Feel è l’acronimo dei nostri nomi (FEderico+ELisa) e, oltre al progetto gastronomico che sostiene nel suo nome per intero “Feel Como”, l’appellativo dell’attività racconta anche la nostra storia. Così quando l’ospite varca la porta del locale di via Diaz, è come se entrasse a casa nostra.

Lo staff di sala del ristorante Feel Como, nella sede temporanea alle Serre di Villa del Grumello

Lo staff di sala del ristorante Feel Como, nella sede temporanea alle Serre di Villa del Grumello

Oltre a tenere in ordine i conti, a occuparmi del personale e di diverse altre faccende, tra cui essere il sommelier, nonché la moglie di uno chef iperattivo, passo molto tempo a studiare, a pensare e a confrontarmi con i colleghi, spesso anche in maniera astratta o virtuale: valuto le soluzioni e le idee inerenti alle dinamiche di servizio che vedo impiegate in altri ristoranti e riportandole al mio caso traggo sempre interessanti spunti. La sintesi di questi anni di lavoro e di pensiero è l’immagine che offriamo oggi del nostro locale: intimo, con pochi tavoli, garantisce ai nostri ospiti privacy e un servizio attento. Chiaramente tutto si può sempre migliorare e la durissima lezione del Covid ci ha messo di fronte agli occhi nuove differenti necessità.

Il giorno in cui mi iscrissi all’università di Architettura a Venezia era esattamente l’11 settembre 2001. Le prime lezioni di composizione architettonica non potevano che spronare le menti ancora inesperte di ragazzi poco più che maggiorenni ad affrontare la concezione del progetto architettonico con nuove regole: le costruzioni andavano cambiate, e velocemente anche, per fronteggiare pericoli che non erano stati considerati precedentemente. Noi non sapevamo ancora nemmeno come progettare la cuccia di un cane, ma sapevamo che avremmo dovuto affrontare il cambiamento più importante a livello concettuale della storia dell’edilizia. Nel dramma, è stato emozionante. Penso sia evidente che oggi siamo chiamati esattamente alla stessa sfida.

Non parlerò dunque di igiene degli ambienti o dei professionisti impiegati, della freschezza del cibo e dell’attenzione dedicata alla preparazione dei vostri piatti: questo dovrebbe essere scontato in tutti i livelli di somministrazione. Mi soffermo invece sulla concezione dello spazio della sala del ristorante (ma anche del bar), che va pensato (e a volte ripensato) nell’ottica di sfavorire ogni possibile avversità: ieri pensavamo alla voce troppo alta del vicino di tavolo, alla privacy, alla giusta disposizione di un tavolo dove si discute di affari e di un tavolo di fidanzati; oggi penseremo a garantire uno spazio fisico che rispetti ogni momento del pasto e la salute dei nostri ospiti.

In alcuni casi sarà una operazione più semplice - penso a locali con ampie sale, disimpegni generosi e piacevoli spazi all’aperto - in altri casi ci vorrà una visione più accurata nel definire gli spazi di pertinenza di un tavolo e qualche passo indietro sul numero di coperti. Il mio ristorante è decisamente piccolo, “vantava” 8 tavoli e post-Covid ne potrà ospitare giusto uno in meno, ma per eccesso di zelo in merito. Ho usato anch’io il metro per verificare le effettive distanze tra i commensali, anche se non sono assolutamente d’accordo sull’imporre regole così approssimative perché non sarà questo a proteggere i nostri ospiti nè a far passare loro una serena serata. Dobbiamo lavorare in primo luogo sul controllo dei nuovi protocolli, successivamente sulla percezione che il nostro cliente può avere dello staff e dell’ambiente che mettiamo a sua disposizione, presentandoci preparati e disinvolti nella gestione delle nuove necessarie dinamiche, attenti, responsabili, senza mai sottovalutare l’esistenza del problema: far pesare l’affanno della mascherina non è un buon messaggio, comportarsi da sergenti non lo è altrettanto.

La sala del Feel di Como

La sala del Feel di Como

Il fattore umano, tema del congresso 2018 di Identità Golose, è quanto mai attuale e nel post-Covid farà la vera differenza. L’accoglienza diventa il perno su cui far ruotare l’esperienza del pasto: ritengo che offrire ai clienti spazi adeguati, personale preparato e organizzato sia oggigiorno una conditio sine qua non per spalancare le porte all’espressività dello chef. La sala - intesa come spazi e persone - ha il compito ancora più urgente di dimostrare di che pasta siamo fatti noi che viviamo di cucina. A ognuno la sua soluzione, il suo stratagemma, abbiamo idee, problematiche e possibilità differenti, e la diversificazione del risultato non può che essere un vantaggio per l’ospite.

In questa strana estate 2020 tanti chef si sono spinti al di fuori della loro sede: chi con l’asporto, chi con location temporanee, chi reinventando i propri spazi a favore di esperienze libere da pensieri negativi: anche noi stiamo affrontando questa nuova avventura all’interno della splendida Serra della Villa del Grumello, sempre a Como. Qui, immersi in un giardino curatissimo, abbiamo trovato respiro e la giusta grinta per tornare a esprimere la nostra cucina di prossimità. Gli ospiti si perdono con lo sguardo nel verde e riprendono quella confidenza nella buona cucina che la minaccia del plexiglas aveva loro tolto.

Sono certa che quando, in autunno, torneremo a mente più fredda nella nostra “casa” di via Diaz, nel piccolo ristorante del centro storico, i nostri clienti ci conosceranno e si fideranno un po’ di più, intendo dire che oltre alla nostra cucina avranno avuto esperienza tangibile anche del nostro carattere: siamo andati all-in per mantenere vivo il lavoro fatto in questi 6 anni, assorbendone tutti i costi senza ricaricare il prezzo dei piatti, stiamo facendo uno sforzo importante e comunque vada sarà stato bello. Non c’è una precisa logica dietro a questo, è puro istinto, è quella sensazione - condivisa da tanti colleghi - di dovere nei confronti dei propri ospiti.

IL FUTURO. La necessità di spazio e di respiro deve restare presente per il futuro dei nostri ristoranti. Ripercorrendo con la mente anche le importanti suggestioni lanciate da Expo 2015, e pensando nello specifico al padiglione austriaco con la sua scritta Breath, che si scopriva in prospettiva passeggiando in mezzo a un bosco vaporoso, vorrei lavorare maggiormente proprio sul potenziare la percezione sensoriale e il coinvolgimento del cliente all’origine delle materie prime, alla terra.

Penso che il futuro della ristorazione debba affondare le proprie radici sulla conoscenza e sull’ospitalità, sulla trasmissione del messaggio culturale intrinseco alla cucina e personalità di ogni chef e su una accoglienza adeguata, attenta alla persona. Auspico anche più sobrietà da parte dei clienti: al tavolo spesso si sentono discorsi su diversi chef messi a spietato confronto, questo perché ci sono molte attenzioni e pretese attorno ai protagonisti della cucina gastronomica, e spero che questo momento storico sia utile per ricordare a tutti che i nostri beniamini sono pur sempre persone con possibilità, capacità e visioni differenti.

Sottolineo infine l’importanza di emozionare senza essere artefatti: personalmente ne ho avuto abbastanza della spocchia e della necessità imprescindibile di stupire con termini e ingredienti non chiari, non serve a niente se non a generare disagio, anche ad altissimi livelli. I piatti devono prendere parola dopo essere stati introdotti, diamo loro la possibilità di esprimersi al meglio e di arrivare alla pancia, al cuore e alla memoria. L’anno scorso nel più elegante hotel di Parigi ho mangiato diverse entrée con le mani, evviva!

Less is more, diceva il maestro del Movimento Moderno Mies Van der Rohe. È un messaggio straordinariamente contemporaneo, un secolo dopo il suo operato, anche in cucina.


In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Elisa Forlanelli

origini pordenonesi, laurea in Architettura, è general manager e sommelier del ristorante Feel Como, chef Federico Beretta, compagno di lavoro e di vita

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