Valli lussureggianti, gole anguste, cime impervie, boschi che digradano fino al mare le cui onde si abbattono su una costa frastagliata, a volte scoscesa ma che si apre qua e là in calette di sabbia fine. L’incredibile paesaggio delle Asturie, così poco spagnolo eppure tanto fascinoso, è la copertina di un mondo naturale che fornisce materie prime d’eccellenza, terra come mare. Eppure – lo stesso si può dire per Galizia e Cantabria, le due comunidades autónomas “sorelle” – tale incredibile, forse unica ricchezza di prodotti gastronomici non ha mai prodotto una cucina d’avanguardia, paragonabile a quella di Euskadi, il país vasco seppur così simile dal punto di vista ambientale: da queste parti la buona tavola è solo tradizione, perché nell’immaginario collettivo pura occasione di convivialità, e trovava così (e ancora trova) il proprio acme nelle tavolate a base di fabada asturiana, una zuppa di fabes, i grandi fagioli bianchi locali dalla pelle sottile e la consistenza burrosa, in un brodo saporito di carne di maiale, accompagnati dai tre tagli classici del compango: chorizo, morcilla e pancetta.

La fabada di Morán, interpretazione del grande classico asturiano, composto dai grandi fagioli bianchi locali in brodo di carne di maiale, con chorizo, morcilla e pancetta
Eppure qualcosa sembra muoversi. La cucina asturiana dà prepotenti segni di voler entrare nel terzo millennio se è vero che i suoi due esponenti di punta risultano all’immediato inseguimento delle superstar dei fornelli nella classifica del vate della critica iberica, 
Rafael García Santos, ne 
Lo Mejor de la Gastronomía. Meritano un voto altissimo, 9, sia 
Nacho Manzano di 
Casa Marcial che 
Marcos Morán di 
Casa Gerardo: a pari merito con 
Andoni Aduriz, per capirci, o coi transalpini 
Bras e 
Ducasse, o con 
Cracco e
 Scabin.
Al di là dei paragoni, i nostri due pranzi asturiani si sono trasformati in altrettante esperienze sensoriali straordinarie: chef in stato di grazia, sul pezzo, a loro agio nel trattare una materia prima sublime – impossibile trovare
 pescados y mariscos migliori che in questo appartato nordovest spagnolo, ma anche le carni sono perfette: agnelli e maialini da latte, galletti di montagna… Eppure i due hanno stili diversi, perché sono reduci da percorsi differenti. 
Manzano è più maturo, mentre 
Marcos Morán, coi sui 34 anni, appare ancora «un volcano colmo di lava che respira fuoco nelle sue creazioni». Il suo dogma di fede è il prodotto; il suo utile freno è il padre, il sessantenne 
Pedro Morán, elemento di equilibrio della coppia (con 
Marcos siamo alla quinta generazione), vengono allora in mente altri binomi senior-junior, i 
Vivalda, i 
Santini... Dialettica generazionale: «
Marcos si dibatte tra il diavolo che porta in pancia e la saggezza diplomatica del padre», scrive 
Santos.

Casa Gerardo, menu degustazione a 75 euro
L’esito è però ben definito: una cucina vivida, basica, potente, pochi elementi con richiami quasi ancestrali. 
Pedro ha un bel daffare: il figlio ha in mano le chiavi della propria grandezza e se a volte esagera, perdendo equilibrio, è solo per eccesso di personalità. Il degustazione – che prevede come ultimo piatto salato la celebre 
fabada: per stomaci fortissimi, a quel punto della 
comida – offre note d’assoluta eccellenza: esatta la 
Sardina affumicata su schiuma di birra e pomodoro; la
 Cabeza del Pixin (coda di rospo con crema di plancton in brodo di pesce e alghe) è quasi uno iodico brodo primordiale; nel
 Bacalao blanco y negro il pesce si accompagna a pil pil cremoso, aglio nero, cialda di plancton e schiuma di latte e dà vita a un 
signature dish del duo laddove nel piatto, come in cucina, elementi opposti (bianco-nero, dolce-salato, iodico-agliaceo…) trovano perfetto bilanciamento. Poi arriva in tavola il
 Salmonete con coliflor picante, una triglia con crema di cavolfiore piccante e noci macadamia, e ti rendi conto che 
Marcos Morán sta già bussando all’Olimpo dei big.
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