13-09-2011

Alija: pura felicità minimalista

Josean ha spostato il suo locale all'esterno del Guggenheim di Bilbao e lo ha chiamato Nerua

Il museo Guggenheim di Bilbao visto dall’altra s

Il museo Guggenheim di Bilbao visto dall’altra sponda del fiume Nervión. Davanti, al centro, il grande ragno di Louise Bourgeois, mentre all’estrema sinistra si nota la piccola scalinata che porta al ristorante Nerua, appena sopra c’è la terrazza dove poter trascorrere qualche tempo per l’aperitivo.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.

L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».

Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.

Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.

«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...

In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 

La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.

La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.

Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.

Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.

«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).

«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.

Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.

In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.

Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.








Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.

Si conclude coi Macarrones... cerveza, fresa, calabaza, te earl grey, manzana, almendra y café, entusiasmante chiosa a uno stile che non arretra di un millimetro. Versione basca dei macarons francesi, in mini formato, sono corrispettivi finali rispetto ai Tomates en salsa coi quali - gli estremi si richiamano - abbiamo iniziato la nostra carrellata. Ne condividono le caratteristiche: minimalismo assoluto (qualcuno potrebbe considerarli più un petit four che il dessert principale...), quasi un aspetto dimesso che cela un’anima infinita. Come i pomodorini, diventano piccoli bonbon del gusto, scrigni di sapore: là c’erano la polpa e i succhi, qui la meringa che racchiude le creme (birra, fragola, zucca, tè Earl Grey, mela, mandorla e caffè), con esiti ugualmente esaltanti: si sciolgono in bocca, esaltano le papille, sorprendono, deliziano. Potenza e raffinatezza a braccetto, una gran chiusura.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.








Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.








Si conclude coi Macarrones... cerveza, fresa, calabaza, te earl grey, manzana, almendra y café, entusiasmante chiosa a uno stile che non arretra di un millimetro. Versione basca dei macarons francesi, in mini formato, sono corrispettivi finali rispetto ai  Tomates en salsa coi quali - gli estremi si richiamano - abbiamo iniziato la nostra carrellata. Ne condividono le caratteristiche: minimalismo assoluto (qualcuno potrebbe considerarli più un petit four che il dessert principale...), quasi un aspetto dimesso che cela un’anima infinita. Come i pomodorini, diventano piccoli bonbon del gusto, scrigni di sapore: là c’erano la polpa e i succhi, qui la meringa che racchiude le creme (birra, fragola, zucca, tè Earl Grey, mela, mandorla e caffè), con esiti ugualmente esaltanti: si sciolgono in bocca, esaltano le papille, sorprendono, deliziano. Potenza e raffinatezza a braccetto, una gran chiusura.

Nota finale: il servizio, guidato dal maître Urko Mugartegi, è attento e mai oppressivo, la cantina non ampissima eppure non banale, l’abbinamento al bicchiere curato dal sommelier María José Vazquez Gárcía regala chicche piacevolissime (come la Noël del birrificio Baladin ad accompagnare la melanzana alla liquirizia, uno dei tanti acuti). Se preferite essere condotti per mano nella lingua del sì, chiedete di Libero Maggi, già Mugaritz, ora nella brigata di sala del Nerua: saprà essere una guida competente, premurosa e amichevole.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.

L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».

Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.

Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.

«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...

In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 

La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.

La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.

Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.

Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.

«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).

«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.

Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.

In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.

Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.

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Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.








Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.

Si conclude coi Macarrones... cerveza, fresa, calabaza, te earl grey, manzana, almendra y café, entusiasmante chiosa a uno stile che non arretra di un millimetro. Versione basca dei macarons francesi, in mini formato, sono corrispettivi finali rispetto ai Tomates en salsa coi quali - gli estremi si richiamano - abbiamo iniziato la nostra carrellata. Ne condividono le caratteristiche: minimalismo assoluto (qualcuno potrebbe considerarli più un petit four che il dessert principale...), quasi un aspetto dimesso che cela un’anima infinita. Come i pomodorini, diventano piccoli bonbon del gusto, scrigni di sapore: là c’erano la polpa e i succhi, qui la meringa che racchiude le creme (birra, fragola, zucca, tè Earl Grey, mela, mandorla e caffè), con esiti ugualmente esaltanti: si sciolgono in bocca, esaltano le papille, sorprendono, deliziano. Potenza e raffinatezza a braccetto, una gran chiusura.

Galleria fotografica






Quello che vedete è un piatto di pura felicità. Una sintesi suprema di minimalismo e complessità, profondità e nitore. Tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparras: dunque solo natura, ma che deflagra tra le fauci, assale le papille gustative e sembra lo sciabordio d’onde contro lo scoglio, però a percuotervi ed avvilupparvi ci pensano deliziosi umori vegetali. Vedete, si tratta di semplici pomodorini, «sono andato in un orto botanico incredibile, nel centro della Spagna. Ho assaggiato quaranta varietà di pomodori, un’esperienza fantastica», spiega lo chef. Al loro interno vengono siringati vari infusi a base di basilico e altre erbe, differenti l’uno dall’altro, il tutto si adagia su un fondo di consommé di capperi. E’ un piatto-gioco, didascalico, splendido e spettacolare: ogni boccone rivela note diverse, qualcuno spiazza con una leggera affumicatura della polpa, ma ognuno vanta un’incredibile potenza aromatica. «Il miglior piatto di pomodori che abbia mai mangiato», secondo Joan Roca, tre stelle Michelin a Girona: c’è la sorpresa delle molteplici declinazioni di sapore («Di cosa sa questo?», diventa una divertente caccia al gusto), s’alternano successivi gradi di dolcezza e acidità, fumé e speziato... E poi le consistenze, lo shot brodoso-sapido, appena tiepido, che scoppia in bocca quando il dente squarcia la tenera superficie polposa... Scoperta assoluta.








L’autore del piatto appena descritto è l’uomo (uomo o ragazzo? In fondo è un classe 1978...) che vedete nella foto. Di lui si è detto: «Ci troviamo, lo ripetiamo per l’ennesima volta, davanti a un GENIO. Ciò è, al disopra di qualsiasi altra considerazione, Josean Martínez Alija». Ecco, condividiamo totalmente queste parole che il grande critico gastronomico spagnolo Rafael García Santos, creatore de Lo mejor de la gastronomia, rivolge nei suoi confronti. Assaggiare i piatti di Alija è un’esperienza folgorante anche per il gourmet più disincantato. Paul Bocuse: «Una delle migliori cucine della mia vita».








Alija ha da poco più di tre mesi aperto il suo nuovo ristorante, Nerua, che si trova come il precedente all’interno dell’affascinante complesso disegnato dall’archistar statunitense Frank O. Gehry per ospitare le collezioni del Guggenheim, a Bilbao. Lo chef è nelle cucina del museo fin dalla sua apertura, nel 1997, quando era appena maggiorenne; poco dopo primo responsabile (scelto da Martin Berasategui...). «Nerua è il culmine di tredici anni di lavoro durante i quali il ristorante del museo è stato un punto di riferimento gastronomico per i nostri visitatori. Il piacere estetico dell'edificio si sposta ora in questo nuovo spazio d’avanguardia», ha commentato Juan Ignacio Vidarte, direttore generale del Guggenheim. Nerua si trova accanto alla sala che ospita The Matter of Time, imponente installazione di Richard Serra, ma ha un ingresso indipendente dalla strada.








Il nome Nerua è un gioco di suoni e parole. Il fiume che scorre a fianco del Guggenheim, a due passi dal ristorante, è il Nervión, l’antico Nerva latino. La lingua euskadi, però, non contempla la “v”, mentre quella latina classica utilizzava la “v” sia per indicare il relativo suono consonantico che quello vocalico “u”. Così “Nerua” è, nello stesso tempo, termine d’echi prettamente baschi (l’identità), che designa il fiume (il territorio) e rimanda alla storia (la tradizione). Il tutto, per designare una cucina che va a braccetto col futuro.








«Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso», ironizzava Ennio Flaiano. Su tale base non dovrebbe destar sorpresa - eppure rimaniamo ugualmente attoniti e dubbiosi - apprendere che Nerua non meriti nemmeno una stella, secondo gli immarcescibili ispettori della guida Michelin. Un altro punto di riferimento gastronomico, agli antipodi rispetto al suddetto, quello dei 50Best 2011, non colloca Alija neppure tra i primi cento chef del mondo. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Vangelo di Luca 23,34). P.s.: Identità Golose ha premiato Alija come miglior chef straniero fin dal 2009...








In una terra ad altissimo concentrato di mostri sacri, da Arzak (nella foto Juan Mari con la figlia Elena) a Subijana, da Aduriz al Berasategui già citato, Josean Martínez Alija - nato a Léon ma di formazione a sua volta basca - rifugge dalle influenze esterne, non si intruppa, evita i filoni consolidati così come quelli d’avanguardia à la page, va dritto filato per la sua strada senza curarsi degli illustri colleghi suoi vicini. Parrebbe presunzione da enfant prodige, quale lui è stato fin dall’inizio; invece è totale coerenza e radicalità, persino professione d’umiltà, perché così si costringe a pedalare duro con le sole proprie gambe e a rimandare, come abbiamo visto, il tempo degli allori più facili. «Il genio è nonconformismo», Vladimir Nabokov. 








La sala del ristorante vanta un design pulito e minimalista, ad imitazione dello stile della cucina, come vedremo. Vi si accede superando l'ingresso principale che si trova vicino al fiume, dopo essere saliti per una scala in pietra; ci si trova nel corridoio col soffitto di titanio, nel quale una parete-cantina di vetro e metallo, trasparente, con le bottiglie in bella vista nelle intercapedini a temperatura controllata, separa dalla zona dei tavoli. Questi sono ricoperti con una tovaglia bianca, solo successivamente vi vengono via via aggiunti tutti gli altri elementi.








La cucina si presenta, poco dopo l’ingresso, sulla sinistra, completamente aperta e a vista, con spazi differenti a seconda delle temperature di lavoro. Qui Alija accoglie con gentilezza il commensale, prima che inizi la sfilata dei piatti. Tutto l'interno assume le connotazioni di uno spazio neutrale in cui cucina e sala da pranzo si fondono armoniosamente, l’una estensione e “interpretazione” dell’altra. Per ottenere tale fusione sono stati utilizzati gli stessi materiali e colori, legno di acero e lamina laccata. «Era ora, il momento giusto per tuffarsi in una nuova dimensione», sussurra Josean.








Il primo piatto che vi abbiamo presentato, Tomates en salsa, è già una sintesi efficace dello stile di Alija. Così come quest’altro in foto: Hebras de berenjena asada, “makil goxo” y yogur de aceite de olivos milenarios, ormai un suo classico. Traduzione: fibre di melanzana, arrostite, vengono ricomposte in una superficie viola e luminosa, con liquirizia (“makil goxo”) e accompagnate da yogurt d’olio d’oliva proveniente da olivi millenari (l’oliva è della varietà Farga). Combinazione indimenticabile, totale rispetto dei sapori, equilibrio perfetto: c’è tutto Alija, nei suoi princìpi di fondo. Che sono: innanzi tutto il minimalismo, l’essenzialità, pochi abbinamenti per avere esiti insieme netti e sfumati, d’inarrivabile eleganza; poi la naturaleza (con una “z” sola, alla spagnola), la passione per le verdure, il lavoro anche sul singolo prodotto vegetale che assume però aspetti visivi-tattili-gustativi diversi in funzione degli svariati trattamenti tecnici cui Alija lo sottopone, padroneggiandoli perfettamente. Siamo di fronte a uno chef che plasma la natura, sorta di demiurgo contemporaneo. Pochissimi (Dacosta, i Roca, per rimanere in Spagna...) ci hanno regalato in questi ultimi tempi simili sensazioni.








Lo stesso dicasi per quest’altra preparazione, di sconcertante immediatezza gustativa: Cebolla blanca "dulce", fondo de bacalao y pimiento verde. C’è gioco visivo: il bulbo è racchiuso dalla pelle del baccalà, si offre così l’impressione che sia un trancio di quest’ultimo: poi le note del fondo di merluzzo alimentano lo stesso corto circuito, costruendo definitivamente l’equivoco (verdura o pesce?). Ma è un calambour visivo e olfattivo che viene subito svelato in bocca, spazzando via ogni finzione e raggelando con la propria radicalità: non c’è menzogna, è pura cipolla bianca. Un rischioso lusso della semplicità, piatto borderline che sa colpire mente e cuore. Ecco, anche in un frangente così estremo risuonano le parole con le quali Alija stesso definisce il proprio lavoro: «Una propuesta gastronómica de vanguardia, pero con mucho sentimiento, con mucho corazón». Traduzione superflua.








«La cucina in tempo di crisi»: pelle di baccalà e lische di alici, rese una sorta di chips croccanti e magari accompagnate con flûte di champagne, sono un appetizer piacevole ma capace – oltretutto – di richiamare l’elemento ittico che ispira lo stesso Gehry nella progettazione dell’edificio: le 30mila lamine di titanio che lo ricoprono assomigliano alle squame di un pesce... (Ma queste forme non ricordano anche Gaudì?).








«Per la prima volta la carta riunisce il lavoro degli ultimi anni e tende a umanizzarsi, con proposte meno di rottura», scrive ancora García Santos riferendosi al menu di Nerua. Umano e divino nello stesso tempo, diremmo, certo non di rottura ma di splendido piacere gourmand, è ad esempio il Foie gras asado en parrilla, zanahorias y "makil goxo", dove gli altri elementi del piatto (carote, liquirizia...) son solo comparse o persino figuranti, perché predomina un solo vero protagonista: il trancio di fegato grasso dalla superficie sublime, croccante e tostata, con piacevoli note aromatiche. Proposta di minor complessità ma che si riassume facilmente, perfetta innanzi tutto nella sua intima natura: uno dei migliori foie gras che si possano mangiare al mondo.








Il menu degustazione più ampio, che abbiamo ordinato (otto portate a 83 euro, altri 35 euro per l’abbinamento vini: rapporto qualità/prezzo encomiabile) non prevedeva il foie gras di cui abbiamo appena parlato (lo abbiamo voluto inserire noi, troppo celebre per non assaggiarlo: e mai scelta fu più opportuna), mentre propone: Foie vegetal (aguacate), jugo de chipirones, acidulado y cilantro (nella foto), sublimazione dell’originale, con le sue stesse consistenze e proprietà organolettiche. L’avocado, cotto al vapore delle sue foglie (dalle quali si ottiene precedentemente un fumetto cui s’aggiunge fumetto di grongo), viene accompagnato da un brodo di calamari, acidulato e speziato al coriandolo. Curiosità: lo chef italiano Matteo Torretta ne ha elaborato una versione simile, con piselli cotti e crudi, scorza di limone e la classica salsa Périgeux.








In un “degustazione”, le ultime portate del mondo salato sono in genere di stampo un poco più classico. Nel Bonito con nabo, caldo de perejil y legumbres  (Tonno bianco rapa, brodo di prezzemolo e legumi) o nel Lomo bajo de vaca tostado, pera asada lacada con soja (Controfiletto di manzo arrosto, pera laccata al forno con soia, nella foto) Alija gioca su tre elementi: assoluta eccellenza delle materie prime, accostamenti efficaci, perfezione nella tecnica di cottura. I risultati sono altissimi, «tecnica siderale» è stato scritto. In entrambi i casi le carni schiantano con consistenze e succosità da urlo.








Il lato D (intenso come dessert) è declinato con ugual maestria e senza soluzione di continuità rispetto alla filosofia di fondo della cucina. Ruibarbo asado, crema de manzana, cítricos y albahaca helada è il contrappunto all’iniziale insalata di cetriolo e melone: sono entrambe entrée nel loro specifico ambito e risultano ambivalenti (sposti un elemento e l’uno può prendere il posto dell’altro, a dimostrazione che i mondi dolce e salato hanno confini più porosi di quanto si pensi). In questo caso il risultato, più che di totale golosità – verrà col secondo dessert, senza perdere in eleganza – è di assoluto equilibrio e delicatezza: le note amare del rabarbaro arrosto, quelle acidule della crema di mele, quelle agrumate dei cítricos, quelle aromatiche del basilico... il tutto con le rispettive consistenze e temperature contrastanti. Non c’è spettacolo (anche la foto non rende), ma è un bellissimo esercizio di stile, complessità, armonia.








Si conclude coi Macarrones... cerveza, fresa, calabaza, te earl grey, manzana, almendra y café, entusiasmante chiosa a uno stile che non arretra di un millimetro. Versione basca dei macarons francesi, in mini formato, sono corrispettivi finali rispetto ai  Tomates en salsa coi quali - gli estremi si richiamano - abbiamo iniziato la nostra carrellata. Ne condividono le caratteristiche: minimalismo assoluto (qualcuno potrebbe considerarli più un petit four che il dessert principale...), quasi un aspetto dimesso che cela un’anima infinita. Come i pomodorini, diventano piccoli bonbon del gusto, scrigni di sapore: là c’erano la polpa e i succhi, qui la meringa che racchiude le creme (birra, fragola, zucca, tè Earl Grey, mela, mandorla e caffè), con esiti ugualmente esaltanti: si sciolgono in bocca, esaltano le papille, sorprendono, deliziano. Potenza e raffinatezza a braccetto, una gran chiusura.

Nota finale: il servizio, guidato dal maître Urko Mugartegi, è attento e mai oppressivo, la cantina non ampissima eppure non banale, l’abbinamento al bicchiere curato dal sommelier María José Vazquez Gárcía regala chicche piacevolissime (come la Noël del birrificio Baladin ad accompagnare la melanzana alla liquirizia, uno dei tanti acuti). Se preferite essere condotti per mano nella lingua del sì, chiedete di Libero Maggi, già Mugaritz, ora nella brigata di sala del Nerua: saprà essere una guida competente, premurosa e amichevole.


Carlo Mangio

Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo?
La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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