Lei, statunitense dal Colorado, ha la grazia, la raffinatezza e l'eloquio sorridente della donna consapevole, che ha girato il mondo e poi scelto la sua vita. Lui è più introverso e squadrato, da vero montagnard di Tenda, dunque di nazionalità francese ma originario della valle Roya, dove vivono profondamente le radicate origini italiane, Tenda è proprio sulla dogana, di qua o di là è questione storico-diplomatica più che culturale. Eppure l'apparenza inganna: «Marc è l'artista, il sognatore, l'elemento creativo tra di noi; io sono l'elemento-sasso, quella con i piedi per terra», ha dichiarato tempo fa lei a Repubblica. E dunque questa bella storia di confini superati travalica anche la frontiera delle apparenze e ci restituisce un connubio delizioso tra cucina e amore.

Amy Marcelle Bellotti e Marc Lanteri
Come quando lei, ossia
Amy Marcelle Bellotti, classe 1976, una laurea in
Restaurant and Resort Management presso la Colorado State University, inseguendo il suo sogno di divenire chef giunse in Italia, era il 1998, per frequentare un corso all'
Icif -
Italian Culinary Institute for Foreigners, a Costigliole d'Asti. E vi trovò lui,
Marc Lanteri, classe 1968, come docente. Niente scintilla immediata,
Amy finì semplicemente nella brigata di
Lanteri, a Cuneo, al
Delle Antiche Contrade. Sarebbero stati già coppia nel 2004, quando raggiunsero la prima stella Michelin della loro carriera. Insieme è dir poco: proprio sposati, nel 2000.
Potenza della cucina e dell'amore, si diceva.
Lanteri aveva già un curriculum lungo così: con sua madre preziosa depositaria dei segreti della cucina tradizionale e suo padre sapiente cultore della genuinità dei prodotti di un territorio ricco e generoso di primizie, aveva frequentato la scuola alberghiera a Mentone e poi esordito in cucina con
Alain Ducasse al
Louis XV di Montecarlo, prima di altri indirizzi prestigiosi:
Michel Rostang a Parigi ed
Enoteca Pinchiorri di Firenze, con
Annie Féolde. Ma anche l'Italia, eh:
Ezio Santin e
Paolo Teverini su tutti. Troppa roba e di peso, forse, al cospetto di una giovane del Colorado: «Ho capito abbastanza presto, lavorando insieme a lui, che non avevo la sua passione. Si alza prima e torna a casa più tardi. Sapevo che avevo altri ruoli». Se n'è ritagliato uno che le calza a pennello, in sala. C'è da dire che le riesce benissimo: chef mancata, incarna come poche in Italia la figura di donna dedita a un ruolo che subalterno non è più - o non deve più essere. Parallelismo notevole: uomo-donna e cucina-sala: abbiamo bisogno dei secondi più che dei primi.
Amy c'è, alleluia, a soffiare forte per far volare alti i sogni edibili del marito. Il connubio finisce coll'apparire perfetto.

Le campagne attorno a Grinzane Cavour
Ora i due mettono in scena la loro storia all'interno de
Al Castello, il ristorante gastronomico del maniero di Grinzane Cavour, che era rimasto orfano di
Alessandro Boglione. Vi sono arrivati nel 2015, dopo aver bissato la stella a
Il Baluardo a Mondovì. Anche nel Comune del quale fu sindaco il conte
Camillo Benso conte di Cavour, hanno confermato subito il macaron, a prova della solidità della tavola di
Lanteri.

Lanteri e l'orto sotto al castello
Cui - lo confessiamo - chi scrive si è accostato con un poco di diffidenza: visti storia e curriculum, ci aspettavamo uno stile un po' seduto sul modello transalpino classico: che è eccellente e per molti versi inappuntabile, sia chiaro. Strutturato, godibile, pieno. Ma che a volte tende allo sbadiglio: novità zero. Invece, che sorpresa nell'apprezzare una fertile leggerezza di fondo, una mano felice nel plasmare accostamenti per nulla scontati, un rifuggere evidente dalla copia carbone un po' scolastica di quanto
Lanteri pur potrebbe maneggiare con facilità. C'è, piuttosto, la ricerca riuscita di una dimensione più personale.
«Qualcuno sostiene che alla nostra cucina manca l'effetto wow», diceva sempre
Amy al quotidiano romano. Vero, forse verissimo. Perché la finezza non è in fondo per nulla spettacolare. E la cucina di
Marc Lanteri è, appunto, assolutamente fine, insieme di sostanza e rarefatta, come capita sempre ai grandi chef. Vi raccontiamo sotto il nostro percorso di degustazione, le foto sono di
Tanio Liotta.

Appetizer in sequenza. Da sinistra Estratto di anguria e melone; Bacio di dama al paté di fegatini; Quiche con fiori di zucchina; Arancino alla salsiccia; Cialda al parmigiano

Mousse di robiola di Roccaverano con marmellata di pomodori

Foie gras d'anatra Duperier al torcione, fichi speziati al passito di Arneis e pane ai cereali

Animelle glassate al Marsala secco De Bartoli al tartufo nero, rapanelli e rucola

Eccellenti i Tajarin ai trenta tuorli al ragù di anitra, olive taggiasche e chips di finocchio. Le olive sono già nell'impasto

Ancor più godibili i Tortelli ripieni di melanzane dell'orto arrostite, Castelmagno Des Martin d'alpeggio 2016. Gran piatto

Piccione cotto nel fieno, la sua coscetta cromesquis, fagiolini e patate ratte

Sempre altissimi livelli per la Sella d'agnello alle erbe, melanzane, croccante di robiola e jus di pomodoro alla paprika affumicata

La mia pesca Melba: con gelato alla vaniglia, spuma di frutti rossi e ribes

Lingotto di nocciole piemontesi, caramello e Arabica