Otto è il numero di persone che possono sedersi all’unico tavolo conviviale (se i prenotati sono 10, ci si stringe un po’…) di Otto, il nuovo, gradevolissimo locale aperto nel settembre 2016 da Lorenzo Lavezzari, già sous chef di Haruo Ichikawa all’Iyo quando prese la stella, poi risucchiato dall’agriturismo di famiglia La Carreccia sui colli di Luni, in Liguria (da dove arrivano ottimi prodotti, a iniziare da olio e vino) e infine rimessosi in gioco nella “sua” Novate Milanese, dove è nato.

La sala dell'Otto, col tavolo con otto posti (foto Carlo Fico)

Lavezzari con Haruo Ichikawa
Lui abita al piano di sopra da 21 anni, «18 gradini di distanza», e ha concepito
Otto come fosse la cucina di casa: convivialità totale, ci si accomoda alla stessa ora, menu fisso ma che varia (anche nel prezzo) a seconda delle settimane: c’è, a salire in complessità e spesa, quello “
Serate a tema: un viaggio tra province e regioni italiane e molto altro”, dunque la tradizione territoriale italiana rivista; l’altro “
Emozioni di Gusto”, ossia
Lavezzari a mano libera; infine la proposta “
Omakase”, forse la più sfiziosa, in tipico stile giapponese e con la presenza in cucina, insieme allo chef, dello stesso maestro
Ichikawa, alle prese con prodotti altrove quasi introvabili, tipo il wasabi fresco «mi arriva direttamente da Parigi, è macerato con le foglie nella soia e nell'olio di sesamo. Niente a che vedere con il classico intruglio in polvere che servono ovunque».

Mongoika mentaiko. Le foto dei piatti sono di Tanio Liotta
Noi abbiamo assaggiato, ovviamente, l'
Omakase: grande esperienza (100 euro vini compresi). Si inizia con
Mongoika mentaiko, seppie la cui tasca viene farcita di
mentaiko, uova di merluzzo marinate con peperoncino. Molto raffinato, «all'Iyo usavamo il
mentaiko, così ho detto ad
Haruo: perché non riempirci la seppia, alla ligure? Interagiamo sempre così». Si prosegue con
Amaebi usuzukuri, ossia gambero rosso di Mazara del Vallo, daikon coreano dolce, sesamo verde, wasabi fresco e japanese dressing. Quindi
Orto Zen, verdure occidentali e orientali cotte, tutte separatamente, in brodo (daikon, konjac, gobou, loto, taro, bambù, cardoncello giapponese, zucca, fagiolini, broccoli, carote...). Uno splendido piatto, elegante. Il successivo è un
Sushi all'Otto (sgombro con aceto di riso,
zuke maguro - ossia tonno marinato 4 ore in mirin, soia e saké - scottato appena 10 secondi, favoloso; gambero di Mazara, ventresca di tonno di Carloforte, branzino di lenza, il tutto con daikon candito giapponese e wasabi fresco). Delizia.
Si prosegue con
Kamo-soba: pasta di farina di grano saraceno con anatra alle 7 spezie, cotta a a bassa temperatura e poi sigillata in padella, con cipollotto fresco e brodo delle ossa dell'anatra stessa. Buono, come pure il successivo
Hamachi teriyaki. Con "hamachi" si intende il "pesce giovane". In questo caso si tratta di una ricciola cotta con la classica salsa teriyaki ridotta con del miele, poi puntarelle con acciughe di Monterosso.
Conclusione dolce del percorso
o-makase (che significa: "Per favore, decida lei per me"): «Lavoravo da
Sadler e volevo imparare anche la pasticceria. Mi consigliò: "Vai da
Knam", e così feci. Lì sono stato per un anno e imparato l'arte del dolce», ben appresa, a giudicare da
Il nostro wagashi, cioè cremoso di cioccolato
Manjari Valrhona, crumble salato, marmellata di limoni di Sorrento, pistacchi di Bronte e wasabi fresco. Una bontà, senza zucchero aggiunto.

Lavezzari con Alan Sanarica (foto Carlo Fico)
Ci si diverte, ma soprattutto si mangia benissimo, la sala funziona a meraviglia, in tutti i sensi, anche grazie al bravo maître
Alan Sanarica. Il posto è accogliente, «ho acquistato una tonnellata e mezzo di marmo di Carrara e ci ho ricavato i piani della cucina e del bagno. Qui prima c'era una pellicceria, non esisteva nemmeno l'allacciamento al gas», così tutti i fornelli sono a induzione. Poi tanto legno: ulivo, faggio e castagno, «che trovo nell'agriturismo di casa», e oggetti recuperati qua e là, in sala «una poltrona che ho preso dai
Moratti, li conosco perché mio papà tappezziere ha lavorato a casa loro, ma anche in quella degli
Hearst e dei
Rothschild».
Piace la formula, che rischia persino di sfondare: «Vivendo qua sopra, spesso organizzavo tavolate con gli amici. Mi son chiesto: perché non trasformare la cosa in un ristorante informale?». Detto fatto.
Otto è anche bottega di cose buone. E sembra aver ingranato la marcia: se mantiene le promesse alla distanza, trovarvi posto finirà col diventare una chicca ambita dai buongustai milanesi. «In definitiva, propongo cucina mediterranea con molto Oriente. Qui ci si trova bene perché noi ci divertiamo, e quindi non c'è stress nel cibo».
Ps: i 2 euro di coperto sono devoluti a Emergency