Nell'ultimo dei 3 giorni del congresso di Identità Milano la mattinata di Identità di Pesce, ha visto tutti i riflettori su Moreno Cedroni, Hirotoshi Ogawa e Valentina Rizzo. Raccogliamo i racconti delle 3 masterclass che ci hanno portato prima nel mondo delle spine, poi nell'avanguardia giapponese in tema di pesce crudo e infine in Puglia tra contaminazioni latinoamericane e tradizione.
MORENO CEDRONI, La Madonnina del Pescatore, Senigallia - Ancona

Moreno Cedroni e Luca Abbadir
Moreno Cedroni, uno degli chef più importanti del panorama nazionale, ci ha portato, insieme al suo sous chef
Luca Abbadir, alla scoperta del nuovo menu de
La Madonnina del Pescatore:
Le Spine (qui l'approfondimento). Mille motivazioni di gusto e un mondo da esplorare sono ciò che le spine di pesce gli hanno offerto nel creare questo suo nuovo percorso. Troverete dunque spine che diventano creme, salse o addirittura farina per produrre tagliatelle. Ma non c’è da sorprendersi, dato che, lo chef di Senigallia già in passato era stato uno dei primi promotori del processo del non spreco in tema di pesce, iniziando ad utilizzarne anche la pelle. «Le spine sono l’anima del pesce, il suo carattere. Quindi ognuna di esse ha un suo sapore e un suo gusto. Uno dei primi concetti da considerare quando si lavora con le spine riguarda la differenza evidente tra le spine di un pesce azzurro con quelle di un pesce bianco. Cambia il colore a causa della differenza di grassi presenti nell’animale, per la capacità di ossidazione, un pesce azzurro ha un sapore più metallico e automaticamente ha una capacità di reazione completamente diversa. Una volta compreso questo abbiamo potuto sviluppare passo dopo passo un menu dalle tante sfaccettature», spiega
Cedroni.
Durante la masterclass ci ha portato all'interno della sperimentazione e della conoscenza. In un menu in cui si passa da
Un cracker di spine e teste di alici fritte con margarita, pomodoro e sedano a un
Piccione con la salsa delle sue ossa, pesto di alga, grattata di spina di rombo liofilizzata. Dalla lavorazione del volatile è nata anche un’altra idea ci ha raccontato
Cedroni: «Ci siamo chiesti ad un certo punto: ma se utilizzassimo le ossa del piccione come le spine del pesce? Provando e riprovando le cosce e le ali ci hanno soddisfatto sciogliendosi e divenendo salsa». Ma il vero capolavoro arriva con
Ossobuco di tonno, demi-glace di piccione, pala di fico d’india in cui si sfrutta una parte deliziosa vicino alla coda del tonno, in movimento continuo durante la vita del pesce. «Tolta la pelle del tonno troviamo la polpa ma anche qualcosa di curioso che ci ha sorpreso e ci ha ricordato il nervetto di vitello. Qui il tutto viene accompagnato dal fondo del piccione utilizzato in precedenza per un altro piatto». Creando in questo mondo un legame continuo tra terra e mare. Una fusione di pensieri e di ingredienti in pieno stile
Moreno Cedroni.
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HIROTOSHI OGAWA - (All Japan Sushi Association Suhi Skills Institute)

Hirotoshi Ogawa ha illustrato in maniera pratica i 3 passaggi fondamentali per completare l'Ikejime, ovvero la tecnica tradizionale di macellazione del pesce crudo in Giappone. In foto il Noujime, il primo passaggio in cui deve essere provocata la morte cerebrale all'animale.
Chi meglio di un maestro giapponese come
Hirotoshi Ogawa poteva raccontarci il mondo del pesce? Direttore, tra le altre cose, di
All Japan Sushi Association, un’organizzazione che opera in 50 paesi nel mondo con la missione di insegnare il giusto trattamento e consumo del pesce crudo, l’unica riconosciuta dal ministero della salute giapponese. Grazie a chef
Ogawa e alla sua sapienza in materia abbiamo scoperto i passaggi fondamentali per utilizzare al meglio il pesce crudo in cucina, passando dalla catena del freddo per conservalo, alla giusta pulizia dell’animale. «Una volta pescato il pesce va subito congelato a meno 40 gradi ed è fondamentale tenerlo sempre ad una temperatura costante anche nel momento della lavorazione», ci ha raccontato
Hirotoshi Ogawa. L’assideramento è, fuori dal Giappone, il metodo più utilizzato per far morire il pesce, Ogawa per Identità di Pesce 2025 ha deciso di illustrarci invece il complesso metodo giapponese dell’
Ikejime. Nel paese del Sol Levante è questa la tecnica tradizionale di macellazione e piano piano si sta diffondendo anche in giro per il mondo. Tre sono i passaggi fondamentali:
Noujime, Chinuki e Shinkeijime. Il metodo migliore per preservare la qualità della carne del pesce ne prevede prima di tutto la morte cerebrale (
Noujime), poi a seguire il drenaggio del sangue (
Chinuki) e infine la paralisi nervosa dell’animale (
Shinkeijime). La distruzione del cervello e del midollo spinale impedisce i riflessi muscolari, che altrimenti consumerebbero l'adenosina trifosfato (ATP) nei muscoli, generando acido lattico e rendendo la carne del pesce acida. Inoltre, il sangue presente nei tessuti si ritrae nell'intestino, migliorando la colorazione e l'aroma del filetto. Fondamentale il drenaggio del sangue (Chinuki) dato che il pesce contiene minerali come ferro e proteine nel sangue che, una volta ossidati, producono odori e sapori sgradevoli. Il drenaggio rimuove la sgradevolezza e migliora il gusto originale del pesce.

Hirotoshi Ogawa con il suo piatto di sashimi attentamente selezionato e preparato.
Per chiudere un cerchio immaginario
Ogawa ha tenuto alta l’attenzione su di un’altra arte ad appannaggio dei maestri giapponesi di sushi: il taglio del pesce crudo. Esistono ben sei coltelli da considerare e devono essere tutti con una lama a filo singolo, solo coltelli di questo tipo permettono la formazione di una parte anteriore e posteriore. Attrezzi del mestiere che hanno un valore inestimabile e che anche in questo vanno saputi usare nel modo giusto. «Noi giapponesi per farvi mangiare il pesce in sicurezza e per farvi gustare al massimo le sue potenzialità organolettiche, studiamo tantissimo e facciamo tantissima pratica; alla fine i risultati sono di qualcosa dal grande valore. Io spero che la cultura del taglio e il trattamento del pesce crudo si diffonda sempre di più, in modo da rendere disponibile ad un quantitativo sempre maggiore di persone un’esperienza speciale», conclude il maestro.
VALENTINA RIZZO - Farmacia dei Sani, Ruffano – Lecce

Valentina Rizzo mentre prepara uno dei due piatti presentati in anteprima a Identità di Pesce 2025.
Valentina Rizzo, la miglior chef dell’anno 2022 per la
guida ai Ristoranti di Identità Golose, ha chiuso gli interventi mattutini di
Identità di Pesce 2025. Lo ha fatto presentando due piatti dove è centrale il gioco con i sapori del suo meridione. Parte proprio dalle origini per presentarsi: «La nostra storia lavorativa è iniziata dal caos. Io non avevo nessuna formazione alberghiera ma ho dato una svolta alla cucina di mia madre che aveva aperto con i miei fratelli. Da tutto questo caos vengono fuori dei piatti molto personali. Utilizzando tecniche che ancora non esistono o che magari esistono ma io non conosco. Dal caos nascono le idee diverse, se tutto seguisse sempre un ordine ognuno di noi farebbe qualcosa simile all'altro». Le due preparazioni proposte hanno un fil rouge dato dal pesce e dall'acidità. Il primo piatto è una variazione sul tipico
Ceviche. Branzino marinato con sale e zucchero, molto morbido e succoso con al posto della patata il gambero rosa crudo; la rivisitazione poi riguarda anche la leche de tigre, fatta con cipolla, aglio, zenzero e frigitello, molto morbida, con un'acida piccantezza ma avvolgente e dal colore rosso acceso. Una salsa molto erbacea e non troppo piccante, con una ricerca di delicato equilibrio.

Il pane della Sca-pece Gallipolina di Valentina Rizzo mentre viene imbevuto in una soluzione di pomodori fermentati.
Passando al secondo piatto troviamo una
Scapece Gallipolina. Uno street food tradizionale del Salento a base di pesce azzurro, impanato nella farina e fritto in olio extravergine d'oliva, insaporito con il sale e alternato a strati di mollica di pane imbevuta con aceto aromatizzato allo zafferano. Quella proposta da Valentina però è una
Sca-pece. Sca utilizzato per identificare un genere musicale proveniente dalla Jamaica e nel gergo jamacaino va a descrivere qualcosa di molto divertente. Diversa sicuramente dalla
Scapace normale anche se con gli stessi ingredienti. «Abbiamo un pane di semola che viene ripassato con il lievito madre, quindi un pane acido. In questo caso non fa il passaggio nell’aceto ma in una soluzione ottenuta da dei pomodorini fermentati in cui anche i pistilli di zafferano rimangono in infusione. Dopo il pane viene passato in forno per asciugarlo. La parte acetica mancante rispetto alla tradizionale scapece abbiamo pensato di ottenerla grazie allo sgombro imbevuto nell’aceto. Sul pane verrà posato lo sgombro e a chiudere un’emulsione ottenuta da latte, olio di semi e zafferanno. Un piatto che, come l’originale, va mangiato con le mani. Presentato in anteprima assoluta ad
Identità di Pesce 2025 prima ancora di essere inserito in carta a
Farmacia dei Sani nei prossimi giorni. «Una creazione molto identitaria dove la mia attenzione ai colori e alla loro valorizzazione è protagonista. Com’è evidente il legame profondo con la tradizione pugliese», conclude
Valentina Rizzo.