Non c’è più restrizione ormai, almeno sul dove: c’è la duplice possibilità di scegliere tra dentro e fuori, senza il bisogno di adeguarsi.
Certo, non avessimo ritagliato porzioni di piazze e passeggi, o rilanciato la piacevolezza di un dehor (finché meteo consente), la ristorazione a quest’ora starebbe appena sgranchendosi le gambe. Eppure, abbiam sentito la nostalgia delle pareti e di tutto quello che contengono: l'atmosfera. Ecco perché, a detta di molti, il vero desinare è all’interno. Forse perché solo oltrepassando una soglia ricevi una più nitida percezione di accoglienza, senza che il mondo fuori possa distrarti. Da qui, la scelta di cercare un dentro ancora più dentro, nel cuore della cucina del ristorante Seta del Mandarin Oriental di Milano, a un passo dal pass e dalla magia che ne sarebbe scaturita: lo chef’s table di Antonio Guida, del sous chef Federico Dell’Omarino e del capo-pasticciere Nicola Di Lena.
Un tavolo tondo e raccolto; l'anthurium nel vaso trasparente, le stesse poltrone di velluto verde, ma sotto agli occhi si schiude una visione diversa. Tanto che pare sovrapporsi alla scena in atto, il titolo che l’artista Marina Abramović attribuisce alla sua opera d’arte, The artist is present: un’installazione umana che trascina il visitatore vis-à-vis con l’artista, che è l’arte stessa, per cogliere reciprocamente il frutto di quella prossimità inconsueta. Alla stessa maniera, lo chef’s table è un’occasione per travalicare il confine che separa il cuoco e la sua arte dal commensale. Emerge un unico flusso di energia, reazioni e impressioni, a un tavolo dove l’animo si adagia e anche il tono di voce è più tondo, a confronto del bisbiglio sommesso della sala. Tutto è lì, a portata di uno sguardo, al cospetto dei sensi.
Intolleranze? No. Allergeni? No. C’è qualcosa che non gradite o che preferiste evitare? No». Carte blanche e così viene a delinearsi un menù ex-novo, l’incrocio tra Una finestra sull’estate e L’Orto verticale, una proposta completamente vegetariana.

Il percorso viene inaugurato da un estratto del menù vegetariano L'Orto Verticale: Gazpacho verde con barbabietola marinata al Campari e gelato al pepe rosa
In quel lasciarsi guidare, cresce quel sentimento naturale che è l’origine della relazione chef-ospite: la fiducia. Si affida il proprio nutrimento all’altro, gustando senza preconcetti. Una relazione che funziona ancora meglio quando si annulla la consapevolezza del sapore di un dato ingrediente, accostandosi a esso come se fosse la prima volta.
Dopo l’ouverture iniziale tra aperitivo e amuse-bouche, ecco il primo passo nell’orto. Gazpacho verde con barbabietola marinata al Campari e gelato al pepe rosa, e subito dopo, un piatto cromaticamente affine, ma dalla consistenza e dalla temperatura contrapposte: Scampo in tempura verde con acciuga e pompelmo alla soia. Da un lato, estrema freschezza, un’estrazione liquida di benessere alternata alle note croccanti della verdura e all’aromaticità ghiacciata del pepe rosa; dall’altra, uno scampo carnoso, ma non grasso, e la eco del Campari nell’amaro rosé del pompelmo; in ultimo, una salinità composita, a metà tra Mediterraneo e Oriente di acciuga e soia.
Tutti gli ospiti sono in casa, ora la cucina prende ritmo: le uscite aumentano, ogni cuoco si fonde con la sua postazione.
Chef Guida coordina, spadella e
sorride,
Di Lena impiatta i primi dessert, mentre
Dell’Omarino giunge impercettibile e interviene lì dove occorre. A questo punto, diventa più difficile comprendere a quale dei commensali toccherà la prossima uscita, ma intanto al tavolo dello chef ne arriva una:
Garusoli ( o lumachine di mare), ravigote, patate al limone, peperone e sedano - un’impressione di zuppa di patate, o di una fresca ciambotta di verdure estive, molto più sensuale.

Garusoli, ravigote, patate al limone, peperone e sedano
Primo dei primi,
Risone con salsa allo sgombro, ostriche e acetosella: attenzione, non lasciarsi tradire dal formato prescelto, facilmente associabile alle pastine della tenera età, perché ogni boccone, in realtà, scatena una
boccata di mare, ostrica e sgombro;

Risone con salsa allo sgombro, ostriche e acetosella
le Conchiglie alle melanzane con aglio nero e tandori, e si rientra nell’orto. Della melanzana, le bucce vengono arrostite e lasciate in infusione per ricavarne un tè.

Conchiglie alle melanzane con aglio nero e tandori,
Tutto intorno c’è un fare gentile e spontaneo, per nulla stucchevole: il potenziale umano che va ben oltre un’impeccabile professionalità.
Il continuo è una sinfonia animale: Morone, nduja, mela verde e salsa al curry; il Petto di piccione con fegato grasso, mango e rabarbaro; le Animelle, carota e frutto della passione e il Rognone di vitello, sanguigno, con erbe e salsa al rafano.

Rognone di vitello, con erbe e salsa al rafano
Esuberanza? Il giusto, più che altro si legge una maturata disinvoltura nell’osare, nel ribaltare i sapori: prima l'assaggio del noto e poi una gita fuori porta, oltre le zone di comodo per assimilare una visione alternativa della medesima materia. E allora, viva la libertà di unire l’integrità dei sapori mediterranei all’umami orientale, conciliando la francese maniera alla nuda e persistente radice meridionale. Ma esistono anche piatti non immediatamente codificabili, sorprendenti proprio per la loro natura al limite, come la Royale all’aglio con latte di mandorla, tabacco, caffè e liquirizia.

Royale all’aglio con latte di mandorla, tabacco, caffè e liquirizia
Dopo un lungo viaggiare si approda alla giostra delle tentazioni: il carrello dei formaggi prima di dissolversi nella dolcezza fine e lineare di Nicola Di Lena.

Manuel Tempesta, restaurant e F&B manager del Mandarin Oriental Milano e il sontuoso carrello dei formaggi. Ne nominiamo solo alcuni: il Bettelmatt, l'Erborinato Sancarlone, il Saint Félicien
Due dessert, e in uno, in particolare c’è il magnetismo di un gusto intenso e caldo, di frutta matura, spezie e cacao:
Cioccolato con chantilly al pepe Jamaica, albicocca alla maggiorana e gelato allo zenzero.

Cioccolato con chantilly al pepe Jamaica, albicocca alla maggiorana e gelato allo zenzero: uno dei dessert proposti a conclusione del percorso dal pasticciere Nicola Di Lena
Cosa resta? L’eccezionalità dell’esperienza, l’impossibilità di interrompere un susseguirsi così vivace di sentori e consistenze, la squisita poesia della contaminazione, di un cibo culturale e profondamente umano. I fuochi si affievoliscono, le luci si spengono, Antonio, Federico e Nicola salutano i loro ragazzi, congedano gli ospiti. La loro arte si è esplicata e tornerà a rinascere, l’indomani elegante e lucente, come la seta.