Stoccolma capitale della cucina europea: mercoledì e giovedì, il 7 e l’8, ospiterà infatti la selezione europea del Bocuse d’Or, mondiale della cucina riservato a cuochi venti/trentenni. Tutto da un’idea di Paul Bocuse nel 1985, prima edizione due anni dopo, la numero 15 il prossimo mese di gennaio nel corso del Sirha a Lione. Gli anni pari sono dedicati alle selezioni, quello dispari alla competizione vera e propria. Un tempo l’Italia, mai prima, vi si presentava nel segno di Gualtiero Marchesi, il nostro Bocuse, poi via via tutto si è annacquato e le ultime partecipazioni era meglio evitarle. A volte si fa più bella figura standosene a casa, soprattutto se non si sono superate le selezioni continentali e si ricorre a una wild card.
Tra poco sapremo, certo che tanti avversari stanno lavorando sodo da tempo. Venti i Paesi in gara, per l’Italia
Diego Rigotti, di Tione, trentino come chi lo ha preceduto,
Alfio Ghezzi, chef alla
Locanda Margon a Ravina. Trent’anni il 3 luglio e tre figli, fresco di stella Michelin al rinato
Maso Franch a Giovo,
Diego è cresciuto tra
Marchesi e
Cracco,
Berton e
Veyrat. E’ a Stoccolma da ieri, lo seguiremo in gara dopodomani, box numero 5. Per il sottoscritto sarà anche l’occasione per rinfrescarsi la memoria a livello di ristorazione nella capitale svedese grazie a
Mathias Dahlgren (tra l’altro presidente della giuria di un concorso che vinse nel ’97) e
Magnus Ek,
Jacob Holmström e
Petter Nilsson. E per mancanza di tempo mancherò ad esempio
Björn Frantzén, presidente onorario del
Bocuse d’or così come
Eléna Arzak lo sarà della giuria internazionale.
Gara tosta il Bocuse, soprattutto per noi italiani, allergici alla disciplina e a una maniacale organizzazione del lavoro. Due piatti, uno di terra e l’altro di mare, 5 ore e 35 minuti a disposizione per completare l’impegno in una sorta di palazzetto dello sport con tanto di tifo come si fosse a un incontro di basket. Rigotti dovrà fare i conti, aiutato dalla commis Giorgia Piffer, con una coscia di maiale e un merluzzo nero. Il primo si porta dietro piedini, sangue e budello, il merluzzo ostriche e cozze. Ci saranno qua e là gelatine di mele verdi e un cannolo d polenta, un brodo freddo ricavato dalla pelle del baccalà e perle di yogurt, la coscia del maiale verrà lavorata per ricreare l’effetto porchetta, farà capolino la cipolla di Tropea e una gelatina di vino Marsala, un crostone di pane integrale si specchierà in una cialda croccante di verza e l’uso dell’alchermes rappresenterà il tocco di originalità in un concorso molto rigoroso.

Il baccalà secondo Diego Rigotti
“Il mio sarà un allegro viaggio tra i valori italiani”, sottolinea
Diego, bravo e realista, appesantito dal non-sistema Italia. L’ho incontrato pochi giorni fa a Trento, contento per il lavoro di
Aromi Creativi e di
Lido Vannucchi a livello di filmato e di immagini. Però il vassoio per il servizio in gara gli era arrivato da 48 ore, quando ci sono avversari delle nazioni del Nord Europa che non fanno altro che allenarsi, esattamente come i francesi. In alcuni casi chi si qualifica per rappresentare il suo paese dovrà lasciare perdere il ristorante e verrà stipendiato profumatamente. Vincere il
Bocuse cambia la vita. Di certo quella del vincitore, come ad esempio il danese
Rasmus Kofoed del
Geranium di Copenhagen, tre partecipazioni e tre podi, terzo, poi secondo e finalmente primo, ora 42° nell’ultima graduatoria dei
50 Best. Più destini in fondo, perché ne trae vantaggio anche l’immagine della ristorazione di una nazione.