I 50 Best il giorno dopo, cosa resta dell’edizione numero 12? Su tutto l’obbligo di chiedersi perché il Noma di René Redzepi è tornato primo al mondo, anche se capisco che ragionare è sempre più difficile che criticare senza una bussola. E a ruota una sensazione di avere rivisto lo stesso film per la centesima volta. Non che non vi siano state delle novità, a iniziare ovviamente dal cambio al vertice, dal danese che torna in vetta a scapito del Celler de Can Roca dei fratelli Roca, per passare da una Spagna che lentamente scivola all’indietro o da un Daniel Humm che cresce e ora è a ridosso del podio, quarto, ma è la formula in sé che alla lunga perde vigore.

Helena Rizzo, brasiliana del Manì, migliore chef donna 2014
Questo succede un po’ perché è scontato che i protagonisti siano quasi sempre gli stessi e un po’ perché gli organizzatori, gli inglesi della rivista
The Restaurant, stanno allungando la minestra. Mi ricordano i vertici del calcio planetario che, per accontentare ogni continente e rastrellare più soldi possibile dagli sponsor, hanno nel tempo raddoppiato le nazionali finaliste di un mondiale portando il loro totale a 32. Chiaro che nella fase iniziale, vi sono partite che interessano solo chi le gioca, perché tutti aspettano Brasile e Germania, Italia e Argentina.
Così ieri per i 50 Best. Ci sono ristoratori e cuochi che sanno perfettamente che non arriveranno mai nei primi 10, figuriamoci sul podio, e sono contenti già di esserci, pronti a affiggere all’ingresso la targa, e lo si percepisce e ci si ammoscia. Sono le stelle del resto del mondo rispetto Europa e Stati Uniti, quel Sud America e quell’Asia a cui gli organizzatori strizzano l’occhio tanto da avere da poco creato anche i rispetti 50 Best continentali. Nei primi 10, Alex Atala e il DOM, settimi, sono l’eccezione. Ecco infatti un podio tutto europeo (Noma-Celler-Francescana), ecco due statunitensi (Eleven Madison 4° e Alinea 9°), nonché altri due spagnoli (Mugaritz 6° e Arzak 8°) e due inglesi (5° Dinner e 10° Ledbury). Hai una bella voglia di ampliare la rosa delle finaliste dei mondiali pallonari, ma alla fine li vincono o Europa o Sud America.

L'abbraccio tra Bottura e i fratelli Roca (foto Luciana Bianchi)
Poi ecco gli organizzatori ricordare che la loro è “una celebrazione e non una competizione”, come quelli che quando la squadra del cuore perde, dicono che “tanto il calcio è solo un gioco” e poi vanno a casa e picchiano i figli, per dirla con le parole di
Jannacci. Chi sa bene che non si scherza è il vincitore,
René Redzepi: “Sinceri (al pubblico,
ndr): chi tra voi ci credeva? Io che soffro del complesso di
Woody Allen non mi ro preparato nulla, leggo la prefazione del mio ultimo libro e dedico la vittoria chi lavora con me e a chi vive con me, a mia moglie che aspetta il terzo figlio e magari, dopo due ragazze, sarà il primo maschietto. Non sono la persona che tutti vorrebbero avere tra i piedi, sono tanto ma tanto esigente, però siamo tutti al primo posto e questa è una fottutissima soddisfazione perché la strada per noi non è mai stata facile”.
Per il danese vale una massimo del grande Vujadin Boskov, allenatore serbo, scomparso il 27 aprile: “I fuoriclasse vedono autostrade dove gli altri sentieri”. E’ la visione di Redzepi quella che vince. Gli spagnoli, per quanto davvero grandi e bravi, sono l’onda lunga della rivoluzione di Adrià. Il nuovo arriva ora dai Paesi Nordici, i loro licheni per usare una fotografia. Gli spagnoli hanno pensionato la grandeur francese, liberando nuove forze che altri usano a modo loro.

A sinistra, Eneko Atxa, suo Azurmendi, il miglior ristorante sostenibile 2014. Terzo da sinistra, Quique Dacosta, veterano valenciano al numero 41 e quarto Virgilio Martinez, peruviano, autore del balzo più alto, al 15mo posto (+35)
In questo brilla
Massimo Bottura: “E’ un miracolo ragazzi che sia sempre terzo. Sei anni di fila al top: 11° e poi sesto, quarto, quinto e due volte terzo. L’Italia non ha amici, corriamo da soli. Lo sento come una responsabilità enorme. Mi rendo conto che sono un esempio per tanti ragazzi che iniziano questo mestiere, devo pesare le parole, quali usare e come usarle, quando e dove. E guai essere dispiaciuti perché non sono salito ancora o perché ci sono solo tre italiani nei primi 50. Io sono certo che il mondo ci ama ancora. C’è tanta voglia di Italia, nonostante tutto quello che succede. Dobbiamo lavorare duro proiettandoci sul futuro”.