Tre giornate, 18 cuochi, sei lezioni e due cene di gala, questi i numeri della quarta edizione di Identità New York, come tutte le precedenti, pure questa tenutasi a Eataly, sia nella Scuola che dà sulla West 23rd Street sia in Birreria, dove puoi guardare le stelle e il tetto del Flatiron.

Lidia Bastianich e il Premio Lavazza
Questo pezzo riparte dove finiva il precedente, quello dedicato alla lezione di
Daniel Boulud e
Massimo Bottura, 6 stelle in due, e tanta voglia di restare in contatto costante perché la cucina è movimento, chi si ferma è perso. Sabato pomeriggio ecco così confrontarsi attorno al pomodoro un’americana molto italiana come
Sara Jenkins e il vulcanico
Mauro Uliassi.
Mauro, dopo avere esordito con un “sorri, ai dont spik inglisc”, cosa che è quasi la regola per i nostri chef, ha letto in inglese per mezzora portando i presenti come sulla riva del mare di Senigallia con gamberi crudi in crema di pomodori e prugne. Questi gamberi erano ottimi, altri gli sarebbero andati giustamente di traverso di lì a 24 ore.
La Jenkins invece, suoi il Porsenna e il Porchetta, si divide tra Manhattan e Cortona dove i genitori nel 1971 acquistarono una tenuta e dove tuttora producono olio da cultivar leccino. Sua una verità: “Chi non capisce il pomodoro, non capirà mai la cucina italiana”. E allora eccola preparare Spaghettoni al pomodoro, pomodorini di ogni colore e gusto, sei o sette tipi diversi.

Il brodetto di Moreno Cedroni sabato 5 ottobre ha profumato la Birreria di Eataly a Manhattan
Sara aggiungerà l’aglio a cottura del sugo avviata e un americano le chiederà perché: “Perché a me non piace l’aglio bruciato, lo tolgo pure prima perché voglio sentirne solo un sentore. E il sugo sembra poco ma è voluto. Gli americani adorano annegare la pasta nel pomodoro. Io invece sono del parere che la pasta debba essere di buona qualità e il suo sapore vada sentito”. Sottoscrivo.
E sabato sera seconda cena sui tetti di Manhattan, cena che si è aperta con la consegna del Premio Lavazza da parte di Ennio Ranaboldo, ceo del gruppo in America, a Lidia Bastianich “per avere valorizzato la cultura gastronomica Made-in-Italy negli Stati Uniti”. Importante quel precisare Made-in-Italy perché questa è la patria dell’italian sounding, del prodotto che arriva da ovunque eccetto che dall’Italia.

Carlo Cracco e Matthew Lightner al termine della loro lezione
Poi tutti a tavola, già con l’acquolina in bocca per i bocconi di
Cesare Battisti, i mondeghili come il mini riso al salto per l’Astice caprese con burrata di
Fortunato Nicotra (
Felidia), al quale sarebbe seguito il primo: Pasta o patata? Sostanza o apparenza di
Massimo Bottura ovvero finti spaghetti all’amatriciana, finti perché fatti con la patata, un richiamo alla sua lezione del mattino. Di
Moreno Cedroni il secondo di pesce, un Brodetto all’anice stellato che ho mangiato tre volte, e di
Viviana Varese quello di carne, Guanciale di manzo cotto in
Birra Moretti e presentato tra cento colori. Di
Katia Delogu (
Eataly New York) il dessert al cioccolato.
E ieri, domenica, le ultime due lezioni, prima Matthew Lightner e Carlo Cracco attorno al riso, poi Jeremy Bearman e Viviana Varese attorno al formaggio. Matthew mi ha colpito quando ho cenato da lui all’Atera (nessuna insegna in strada, insomma…) perché Andoni e Redzepi sono i suoi riferimenti ma la cucina che propone è la sua e questo è bene perché si distingue dai copiatori. Poi la pasta di riso di Cracco, gli gnudi di Bearman, la parmigiana della Varese, tutti spunti per un prossimo articolo.