Cosa sia PizzaUp lo ha spiegato molto bene a inizio settimana Piero Gabrieli, direttore marketing di Molino Quaglia e ideatore dell’evento assieme con Chiara Quaglia, proprio in questo sito. Trascrivo un passaggio di un pezzo che può essere letto per intero cliccando qui: “PizzaUp è una palestra di idee, uno stimolo a vivere consapevolmente le esperienze del lavorare quotidiano sugli impasti, sulle lievitazioni, sulle cotture e sulla lavorazione degli ingredienti freschi per trasformare le molteplici esperienze in tecniche di cucina”. Tutto questo a Vighizzolo d’Este in provincia di Padova dove ha sede l’azienda Quaglia e dove si è appena celebrata la sesta edizione.
Ottanta i pizzaioli invitati (220 le richieste giunte), dei quali un decina scarsa le donne; diversi gli esperti, tra i quali spiccava
Corrado Assenza, titolare a Noto (Siracusa) del
Caffè Sicilia; una dozzina abbondante i giornalisti, otto coinvolti nella stesura martedì del
Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea, letto e discusso ieri in pubblico e quindi sottoscritto dai presenti. Tutto questo partendo da una verità che tanti hanno scordato e che è tempo torni di attualità: “La pizza è una cosa seria”, parole di
Gabrieli.
La pizza non è un disco di pane (o un quadrato o un rettangolo non importa, una base insomma) sul quale si versa di tutto con logica difficile da cogliere se non quella di accontentare il cliente senza mettere qualità nei vari passaggi, in pratica una corsa al prezzo più basso e a una qualità ancora più bassa perché è ovvio che qualsiasi attività commerciale deve produrre un utile e nessuno fa regali.

Renato Bosco, chef e patron di Saporè a San Martino Buon Albergo (Verona)
Pianeta Pizza, pizza italiana per ribadire la primogenitura di una pietanza che il mondo adora e che trovi ovunque, che l’America del Nord, gli Stati Uniti in particolare, ha adottato fino a farla sua al punto che tanti oltreoceano credono di averla pure inventata. Potremmo anche lasciarglielo credere, l’importante è non perdere noi la bussola, noi italiani che siamo stati i primi a svilirla e che viviamo situazioni di pericolosi contrasti. Sembra che oggi vi sia un derby continuo tra Napoli e il Resto d’Italia, il Veneto in particolare perché è veneto il
Molino Quaglia e sono veneti alcuni tra i più quotati cuochi-pizzaioli a iniziare da
Simone Padoan dei
Tigli a San Bonifacio (Verona) per arrivare a
Renato Bosco di
Saporè a San Martino Buon Albergo (Verona) e a
Lello Ravagan di
Grigoris a Mestre.
Tale la rozzezza media del dibattito in Italia, dal mondo politico in su sia chiaro, il mondo della gastronomia non è un’eccezione, invece di ragionare per capirsi si passa facilmente all’insulto quando, per restare a livello pizza, chi con orgoglio tiene alta la bandiera di sua maestà la Vera Pizza Napoletana avrebbe solo da guadagnarci nell’aggiornare un disciplinare obsoleta, sordo alle ricerche più recenti sull’alimentazione. Penso all’obbligo del lievito di birra (per maturare l’impasto il più in fretta possibile perché la pizzeria è vista ancora come un luogo dove di fanno mille coperti al dì) e alle farine che devono essere bianche come il pane che i nostri vecchi bramavano usciti dalla guerra.
Non si tratta di fare un Pizza Napoletana diversa, si tratta di farla migliore, più digeribile, più leggera, più intelligente. Purtroppo quando vai a toccare cerchi tasti legati alla tradizione è concreto il rischio di offendere chi vive quel piatto come un’icona, ottimo per fede. Se appena accenni al fatto che il mondo è andato avanti, tanti si chiudono a riccio, sordi. Il manifesto è nato per questo, per dare dignità assoluta al più italiano dei piatti.
1. continua