19-09-2023

Tutt'altro che imprenditoriale e moderna: la ristorazione italiana paga il prezzo delle sue scelte "di comodo"

Un settore poco propenso ai cambiamenti e che non ammette le sue colpe: Piero Pompili, restaurant manager del Cambio di Bologna, analizza cause ed effetti della crisi nella ricerca del personale (prima parte)

Piero Pompili, restaurant manager del ristorante A

Piero Pompili, restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna

Oggi nel mondo della ristorazione (ma il discorso vale anche per altri settori), stiamo vivendo un momento storico difficile legato a un cambio generazionale e a una fuga da certe aree professionali, preferendone altre che possano garantire un miglior tenore di vita.

In realtà, se ci pensiamo bene, è una situazione che storicamente abbiamo già vissuto; basti pensare ai nostri genitori o nonni che in passato decisero di abbandonare la campagna a favore del lavoro in fabbrica. Ecco, quello che 80/90 anni fa accadde nel mondo del lavoro agricolo, oggi si sta verificando in quello della ristorazione.

Si tratta di una vera e propria evoluzione generazionale iniziata, in realtà, ancor prima della pandemia. Già nel 2019, infatti, uno studio del World Economic Forum evidenziava che “il 65% dei bambini che attualmente frequenta la scuola primaria, in futuro svolgerà un lavoro che ancora non esiste”.

La pandemia, però ha creato dei pentiti nel mondo della ristorazione, che hanno già deciso di cambiare vita o hanno allentato la corda da ritmi insostenibili e stressanti, mentre le nuove generazioni, i Millennials per l’appunto, non sembrano essere minimamente attratte da questo settore e, se i dati del World Economic Forum fossero veri, in futuro saranno professionalmente impiegate in altri mestieri e non di certo in un lavoro di cucina o sala.

Mi spiace affermarlo, ma credo che siamo solo all’inizio di una fase complessa per la ristorazione: se questa professione sarà sempre meno richiesta, essendo un ristorante fatto di persone prima ancora che di piatti, senza nuova forza lavoro, molti ristoranti non avranno più modo di esistere in futuro. I primi segnali tangibili li vedremo nei prossimi 5/10 anni e colpiranno tutte quelle attività gestite da singoli (e non nuclei familiari o grandi gruppi imprenditoriali) di età compresa tra i 45 e i 55 anni, per cui a causa degli ormai scarsi margini di guadagno e a fronte di sacrifici gestionali sempre più ingenti, decideranno di buttare la spugna. E non li biasimo.

C'è un colpevole di tutto questo? Non penso che si possa parlare di vere e proprie colpe, dal momento che il mondo della ristorazione, fino a oggi, ha vissuto di equilibri aziendali tutti “suoi” che alla fine nessuno ha mai contestato. Ma i tempi sono cambiati e le nuove generazioni non sono più disposte a fare una vita sacrificata e poco remunerativa. Alcuni ristoratori sono stati lungimiranti nel rivedere alcuni aspetti gestionali, quindi hanno semplificato il lavoro dei loro dipendenti, hanno aumentato le retribuzioni o i giorni di riposo pur di conservare uno staff già rodato e fidato. La stragrande maggioranza, però mi sembra sia ancora allo sbando e non ha capito che, senza apportare cambiamenti nella propria azienda, mettendo al centro il benessere del dipendente, rischia di dover spegnere i fornelli.

Quale conseguenza inevitabile, il mondo della ristorazione ha perso appeal e il motivo è molto semplice: la gente si è resa conto che fuori da un ristorante c’è una vita bellissima che si può – e si deve - vivere; lavorare 10/12 ore al giorno su turni spezzati che impegnano l’intera giornata, inclusi tutti i festivi, non poter decidere quando programmare le proprie ferie e doverle adeguare sempre alla chiusura del locale, ha fatto di questo mestiere una sorta di schiavitù 3.0.

Senza considerare che, quando i ristoranti lavorano con un personale ridotto all’osso, diventa complicato anche solo prendere un permesso, o stare a casa quando non ci si sente in forma, pur di non mettere in difficoltà chi conta veramente su di te. Aggiungiamo stipendi sottopagati rispetto al tempo, alla dedizione, alla fatica e ai sacrifici richiesti. Il risultato che ne consegue è una generazione che rivolge le proprie scelte professionali altrove, come dimostra anche il crollo delle iscrizioni alle scuole alberghiere. Per amor di Dio, molti diranno che è la passione a far resistere tante persone, ma il punto è che, se non si trovano più lavoratori, dobbiamo iniziare a pensare che non tutti sono mossi dal sacro fuoco dei fornelli per diventare il nuovo Cracco e neanche più i giornali e la televisione riusciranno a rendere appetibile la professione di cuoco o cameriere visto il fuggi fuggi da questo settore.

Uno dei problemi maggiori è che la ristorazione è in mano a persone con una mentalità poco imprenditoriale e moderna.

Quando due anni fa è stato sollevato il problema della mancanza di personale, la categoria piuttosto che farsi un sano esame di coscienza, ha preferito attribuire la colpa al reddito di cittadinanza e alla mancanza di spirito di sacrificio da parte dei giovani. Insomma, è stata cavalcata l’onda in maniera talmente maldestra a livello comunicativo da aver generato un distacco ancora più marcato tra i ragazzi e il mondo della ristorazione. A uscirne con le ossa rotte, però è stata solo quest’ultima avendo allontanato ulteriormente le persone dal settore. Ma un ristorante, lo ricordavamo all’inizio, ancor prima che di piatti è fatto soprattutto da persone, quindi il modello ristorativo del futuro sarà quello che saprà garantire, a differenza di quello attuale, dignità morale ed economica ai propri dipendenti.

È tutta qui la chiave di lettura per il domani: costruire ristoranti sostenibili in primis a livello umano e, per farlo, non esiste una unica via. Ogni singola realtà, infatti, a seconda del luogo in cui si trova, di quanto lavora, in che giorni e orari, dovrà organizzare al meglio la propria forza lavoro senza sprecare risorse, né umane, né economiche. Confrontandomi con molti colleghi, ho notato che in tanti hanno già avviato un processo di modernizzazione della propria azienda in termini di orari: prima ancora di chiedere più soldi, i giovani, infatti, chiedono maggior tempo per sè stessi.

Probabilmente, lo Stato potrebbe intervenire a favore dei ristoratori inserendo “l’obbligo” della mancia, un tema di cui ho già discusso in passato, al fine di implementare stipendi ancora troppo bassi. Potrebbe essere un incentivo per reperire nuovo personale e un buon motivo per non far scappare quello già esistente. È vero, questa soluzione ricadrebbe sulla tasca dei clienti, ma in fondo mangiare in Italia è molto più economico che in altre parti del mondo, e una percentuale del conto che va da un minimo del 10% al 20% potrebbe aiutare molto.

Al ristorante La Gioconda di Gabicce, per esempio, applicano già un supplemento pari al 5% del conto, spiegando che la sostenibilità non è legata solo all’ambiente ma anche al capitale umano. E io non posso che esserne pienamente d’accordo.


Primo piano

Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Piero Pompili

marchigiano di San Benedetto del Tronto, classe 1975, dal 2016 è restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna

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