02-10-2018
Massimo Bottura, 56 anni compiuti il 30 settembre scorso, alla Scuola di Eataly Flatiron (foto Brambilla/Serrani)
«I’m here because I want to be here». Massimo Bottura è sbarcato al JFK solo due ore prima. Ma questo è il suo palco e figurati se si mette a fare uno speech in sordina, nella nona lezione consecutiva in 9 anni di Identità New York. Le molle che si fanno beffe del fuso orario sono due: «La cultura, la forza che sta dietro a ogni nostro piatto. E poi la contaminazione, che rompe ogni muro in un’epoca che ne erige in continuazione». Una «contaminazione saggia», che viene incontro al futuro, «che sceglie le parole che pronunciamo ogni giorno al Refettorio e in Osteria Francescana: ‘benvenuti’, ‘buongiorno’. Hello e goodbye, due vocaboli dal significato profondissimo». Contaminazione significa rubare, ma nel senso di quello che Picasso faceva con Raffaello: «Non copiare ma assorbire le idee. Completarsi viaggiando. Assimilarle e poi dimenticarle. Evolvere, cioè tenere sempre gli occhi aperti, senza mai dimenticare chi sei e dove sei diretto». Il mantra di sempre.
LARGO AI GIOVANI. Dietro a Bottura, il suo secondo Davide Di Fabio e Francesco Vincenzi, in cucina alla Franceschetta 58
«Il nostro risotto è molto diverso dalla tradizione: nessun brodo, nessun vino bianco o cipolla, nessuna preparazione estenuante. Questo perché l’ortodossia non rispetta il riso». Si spremono le arance; zucca, mandorle e amaretti sono messi in forno e poi nel blender con un po’ di sale. Si aggiunge la piccantezza e la dolcezza di una mostarda di mele campanine. Tostato il riso, si unisce un brodo leggero d’anatra e poi il succo d’arancia. Dall’altra parte si procede con un’anatra uguale a quella pechinese classica, con daikon. E si finisce il riso con olio extravergine (senza burro e creme) e dell’arancia cotta in forno e disidratata per una settimana. Pulizia, gusto, leggerezza. La dimostrazione che la tecnica ha senso «ma solo se sublima il prodotto, non l’ego dello chef». Due intermezzi importanti interrompono la lezione. Il primo è sulle prospettive vicine del Refettorio: «Siamo pronti ad aprire il primo Refettorio su suolo americano. Sarà a San Francisco e tra i più grandi sostenitori c’è Laurene Powell Jobs, moglie di Steve. Arriveranno volontari da tutto il mondo. E poi apriremo a Napoli e a Merida, in Messico. È incredibile l’entusiasmo della gente».
Con Carlo Cracco
Stesso riso, doppia versione, anche dessert
Secondo piatto in menu: Spaghetti Pop Corn, serviti nel classico cestello di carta, tipo cinema. Sono una parodia delle Fettuccine Alfredo, con burro e parmigiano, un classico non-italiano. «Quando lavoravo a New York, il mio capo di allora Ray Costantini mi chiese di farle e io risposi: fuck you, this is not an Italian dish. E’ uno spaghetto astratto». E via con mille aneddoti che rivangano il passato del modenese, una pallina da flipper che rimbalza da sempre tra i due continenti.
Spaghetti Pop-Corn
A fine lezione, cheesecake di compleanno consegnata da Cristina Cavalchini Guidobuono di Riso Buono
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classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
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