L’ottava trasferta americana ha inizio con le parole di Paolo Marchi: «Hai detto bene Vince (Gerasole, presentatore anche quest’anno delle masterclass americane, ndr): siamo qui per promuovere la migliore cucina italiana. Ma anche l’idea per cui non siamo, come spesso diciamo, l’unica nazione al mondo in cui si mangia bene: ecco spiegato il senso della varie nazionalità rappresentate dai cuochi che animeranno quest’edizione di Identità Chicago ma anche New York e a Boston».
La quarta sortita di Chicago ha inizio con due novità per la platea dell’Illinois: la pasta e la pizza. «È il momento di far vedere che pizza in Italia significa mille cose: provenienze, tecniche, farine, ingredienti, filosofie. Allo stesso modo, la pasta non è solo quella al ragù, si possono utilizzare centinaia di ingredienti e applicare infinite interpretazioni».
I primi riflettori sono puntati sulla pizza. Quella dei ristoratori siciliani Vittorio e Saverio Borgia di Bioesserì, un’insegna a Milano Brera e una a Palermo, sul palco col loro il pizzaiolo campano Federico Della Vecchia. E poi Sarah Minnick di Lovely’s Fifty Fifty a Portland, Oregon.

Vittorio e Saverio Borgia, Bioesserì

Federico Della Vecchia, Bioesserì
Microfono al trio di
Bioesserì «Una parola che significa
bio-organic», precisa
Borgia, «Utilizzare un prodotto biologico è il primo passo che ci aiuta negli sviluppi successivi. Una scelta irrinunciabile». La prima delle due pizze che presentano si chiama
Identità di provola «La somma di tante culture legate assieme. Al posto della classica passata di pomodoro, c’è una salsa di pomodori pachino. Cioè la Sicilia dei fratelli
Borgia ma anche quella del classico spaghetto napoletano. Poi c’è il pecorino romano e la provola di bufala delle mie parti. Sapori mediterranei che scaturiscono da tante prove e studi».
Farine integrali e semintegrali
Petra, ricche di fibra e povere di amido, glutine e proteine. Maglie glutiniche semplici, impasti leggeri e bloccati per un attimo per definire le idratazioni, lievitazioni lente, un forno che scalda a 80°C rispetto alla classica napoletana. Tutti accorgimenti che garantiscono digestioni
smooth.

Identità di provola, Bioesserì
La seconda pizza del team Bioesserì si chiama
Fake, un richiamo ai prodotti italian sounding della grande distribuzione. «Visivamente, poi, sembra una pizza margherita, ma non lo è». Contiene della salsa agrodolce di peperoni rossi, ancora provola di bufala, Grana Padano 24 mesi, pesto di basilico, pesto di olive nere e acciughe, olio di oliva. Una sorta di salsa alla cacciatora.
Con la dolce e decisa
Sarah Minnick entra prepotente in campo il concetto di
market to oven, cioè dal mercato direttamente al forno, un concetto mutuato dal più noto
farm to table, appreso nell’apprendistato della ragazza da
Alice Waters a
Chez Panisse. E anche quello di
sharing community, la comunità che sa condividere di Portland, sulla costa Ovest, tecniche di cucina inclusa.

Cavolo nero, salsiccia, alchechengi (Sarah Minnick)
La pizza di Chicago si chiama
Fermented Tomato, una lieve variazione della pizza che ha vinto il titolo di piatto dell’anno a
Identità Milano 2017, in coabitazione con la
Scarpetta dell’amico
Franco Pepe. Ci sono anche delle foglie di quinoa. Gli ingredienti sono rimestati prima in una grande bowl, «non l’ho mai visto fare dai miei colleghi, forse sbaglio ma a me piace», spiega candidamente. Una tecnica piuttosto interessante. All’impasto, roteato a lungo da
Sarah come fosse un tessuto, aggiunge strisce di fontina.
Con la seconda, entrano in scena Cavolo verza (
lacinato kale), rosmarino, alchechengi, salsiccia e fontina. Addendi che esprimono la libertà di cui gode la pizza migliaia di chilometri lontana dalla sua culla. Con una legge mai violata: «Ognuna delle mie pizze è fatta con tre componenti cui non rinuncio mai: impasto, verdure e formaggio».