Certo che lo sport insegna, sempre. Eccome! A me, per esempio, piace molto il rugby. Esempio di forza, di potenza, ma anche di scaltrezza e di furbizia nel gioco. Ma soprattutto esempio di fair-play con l’altra squadra, di gioco per vincere ma anche per divertirsi in campo. Di “lavoro di squadra”, e di “gioco d’insieme” allo stesso tempo. E anche di meravigliosa coreografia in campo, di balletto sportivo sull’erba.
Ecco. Sostituiamo l’erba con il marmo dei nostri locali, il campo con le sale dei nostri ristoranti, e i giocatori con maîtres, camerieri e sommelier, e avremo il nostro oggetto del contendere: la sala.
Ma ogni squadra si deve dotare di un personaggio fondamentale che la coordina, indirizza e a volte severamente corregge: l’allenatore. Chi allena le squadre di sala? Chi le istruisce, coordina, corregge e, in fondo, “allena” al lavoro di tutti i giorni? Ne hanno discusso a Identità Milano 2018 Marco Reitano, sommelier de La Pergola del Rome Cavalieri, il ristorante di Heinz Beck a Roma, Alessandro Pipero, proprietario di Pipero Roma, e il patron, maître e sommelier di Contraste a Milano, Thomas Piras.
Reitano dice subito che uno dei problemi fondamentali in Italia per il settore è che non esiste selezione all'entrata, per i professionisti della sala. Mancano così tanti camerieri nei ristoranti in sala, che si accetta quasi chiunque si presenti un po' bene pur di far numero. Poi, noi primi giorni di lavoro, se ci si accorge che insegnare e correggere gli errori del nuovo entrato fa perdere tempo a tutti, quel ragazzo viene lasciato fuori. È anche vero che molti ragazzi scappano prima della fine del periodo di prova, perché non resistono allo stress del lavoro in un grande ristorante.
Ribatte Pipero: un altro problema è che i ragazzi non vedono nella sala un mito, come invece vedono nella professione dello chef. Per questo nelle scuole alberghiere vogliono fare i cuochi. Pochissimi scelgono la via della sala. Inoltre ci vuole una maggior selezione nelle scuole: il 90 per cento di chi si iscrive ad una scuola di questo tipo è composto da chi, in fondo, semplicemente non ha voglia di studiare, e dunque vede l'alberghiero come l'ultima spiaggia. Nessuna vocazione, solo un parcheggio.
Piras, che invece l'alberghiero non ha fatto, ma ha frequentato il liceo scientifico, insiste sulla necessità di essere prima clienti, e poi, in un secondo tempo, servire. Detto in altre parole: se sei "abituato bene" - l'espressione è la sua - se hai fatto il cliente, comprendi meglio cosa occorra fare. E' la sua storia: cliente in Italia, poi se n'è partito a lavorare in Inghilterra, Australia, Stati Uniti e Scandinavia.
Questo è un altro punto: è fondamentale vedere il mondo e capire - aggiunge - anche perché così si tocca con mano come le relazioni coi clienti siano diverse, nel mondo, e che devi mediarle con la tua personalità, interagendo con chi sta al tavolo.
Insomma, citando Paolo Marchi nella relazione introduttiva al congresso: si è capito che la sala rappresenta un argomento molto più delicato e a volte ostico da discutere, rispetto ai piatti e alla cucina: «Della sala ci si lamenta sempre, ma poi si fa fatica a parlare di questo argomento: son concetti, sensibilità. Non piatti!».
Torniamo a far mischia: come nel rugby.