La storia si può scrivere anche con le bollicine, ha un’effervescenza tutta particolare, che racconta la passione, il lavoro, alla fine il riscatto, la conquista del rispetto, la cancellazione di quel diminutivo svilente: prosecchino. Trent’anni sono tanti o pochi per una rivincita? Di certo da lì bisogna partire. Da tre date.
Anno 1919,
Antonio Franco fonda le
Cantine Franco a Valdobbiadene, paese famoso per l’uva prosecco (o glera) da cui si ricava il vino omonimo. Anno 1983,
l’azienda è cresciuta col figlio
Nino, ma è il nipote
Primo a pensare/volere/imbottigliare un prosecco uguale, però diverso. Simile ad altri, nel senso che andava realizzato “alla vecchia maniera”, «eravamo molto bravi a produrlo, quel primo settembre 1983 assaggiammo una bottiglia del 1956, era perfetta. Ci veniva naturale avere un risultato di qualità». Ma sarebbe dovuto essere un vino anche diverso, perché il tentativo era quello di differenziare quell’etichetta dai tanti prosecchini andanti, piacevoli ma disprezzati dai ristoranti che contano, confinati nel
giro d’ombre di paese o poco più. Popolari, esportati? Pur sempre frizzantini da osteria.

Primo Franco, con la moglie Annalisa e la figlia Silvia, nella cantina della Nino Franco di Valdobbiadene, l'azienda che ha riscattato il prosecco dalla cattiva fama di vinello da osteria
Terza data: oggi.
Primo Franco si leva in piedi e non trattiene l’orgoglio: 30 vendemmie dopo, lui ora 67enne può dire d’avercela fatta. Il prosecco che porta il suo nome «non è più il fratello minore del vino», spiega l’amico di sempre
Giuseppe Meregalli. Al contrario, ha tracciato una nuova via sulla base d’un progetto «in cui la natura è importante, poi serve anche la mano dell’uomo» e la sua intelligenza, poiché presuppone una chiara visione di cosa si deve fare, a iniziare dalla stessa etichetta, ricalcata su quella della bottiglia del ’56, ma che per prima ha riportato l’annata e la firma del produttore. Millesimare e metterci la faccia, insomma, come si trattasse di grandi champagne o bollicine illustri, in mezzo ai quali peraltro il
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Primo Franco sta a proprio agio, è appena entrato anche nella prima edizione di
Champagne & sparkling wine world championships di
Tom Stevenson.

"Esito" della degustazione monzese celebrativa dei 30 anni del Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Primo Franco: da destra, le sei bottiglie di altrettante annate (la prima ha il "collo d'oro" delle 30 vendemnmie), mentre a sinistra due chicche aggiuntive: il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Vigneto della Riva di San Floriano 2013 e il Grave di Stecca Brut 2013, entrambe etichette pluiripremiate
I trent’anni sono dunque festa e celebrazione di una «passione messa in bottiglia», chiosa
Meregalli, a capo dell’omonimo
gruppo leader nella commercializzazione dei vini e nella cui sede monzese si è tenuta una bella verticale di sei annate del Primo Franco (2013, 2003, 2000, 1997, 1995, 1992), sorprendenti per la capacità di riflettere, con stile unitario (poca acidità, più struttura e meno profumi, grande longevità), le circostanze di produzione, quanta pioggia bagnò i grappoli e quanto sole li riscaldò, «raccontano come è cambiato il vino, come sono cambiate le vigne e la cantina. Di come siamo mutati noi stessi: un’evoluzione splendida, eccezionale, entusiasmante».
L’entusiasmo, ecco, «la gioia di poter tramandare» la chiama Primo Franco, che s’accende quando racconta di quel nuovo terreno che ha individuato e potrà affittare da metà ottobre, «ha ceppi vecchissimi, non ne ho mai trovati di così grossi e tutti insieme, non vedo l’ora di poter capire cosa potrò farne, l’attuale proprietario ne ricava un prosecchino, da noi si dice dar na caramella al musso, non si rende conto delle potenzialità…». Sorride, ingolosito, fiero, tenace capitano d’azienda: questo prosecco che si chiama come lui ha un’anima, ed è la sua.