17-02-2017

Idea: friggere in pizzeria (ma bene)

A PizzaUp come rendere vario il menu dei pizzaioli servendo pure fritti. Cassi smentisce le perplessità di tipo nutrizionale

Piero Gabrieli, Chiara Quaglia & pizzaioli: foto f

Piero Gabrieli, Chiara Quaglia & pizzaioli: foto finale dell'undicesima edizione di PizzaUp

Un simposio dedicato alla pizza che non parla di impasti, lievitazioni e topping, ma di fritture? Ma che gli è saltato in mente a Piero Gabrieli e Chiara Quaglia, nell’allestire l’undicesima edizione di PizzaUp, conclusasi ieri a Vighizzolo d’Este, come sempre nella sede di Molino Quaglia? Qualche risposta.

Perché un simposio sulla pizza che non parla di pizza?
1) PizzaUp ha accompagnato la crescita del settore negli ultimi dieci anni. La pizza si era presentata malissimo al cospetto del nuovo millennio: il panorama era ricco d’improvvisazione e povero di qualità. Lievitazioni arrabattate e farine improbabili garantivano solo digestioni lunghe e difficili. Quanto alle materie prime del condimento... Se il trend si è invertito e oggi tutti si riempiono la bocca con la parola “pizza gourmet” (presto la professoressa Anna Zinola, docente di Psicologia del marketing all’Università di Pavia e nostra collaboratrice, pubblicherà sul sito di Identità un pezzo intitolato degourmettiziamoci), che poi sarebbe la nuova pizza italiana (Enzo Vizzari) o la pizza contemporanea (qui il suo manifesto), è perché un manipolo di pizzaioli, sul solco di Simone Padoan e formatisi all’Università della Pizza e a PizzaUp stessa, ha deciso di puntare tutto sull’eccellenza. La pizza è rifiorita, le pizzerie sono entrate nelle guide dei ristoranti, i pizzaioli dialogano coi grandi chef.

A Identità Milano Massimiliano Prete (Gusto Madre) salirà sul palco con Enrico Crippa; sempre al congresso per la prima volta due pizzaioli, Franco Pepe (Pepe in Grani) e Sarah Minnick (Lovely's Fifty-Fifty), terranno le loro lezioni nella sala più prestigiosa, l’Auditorium; un loro collega, Antonio Polzella (La Ventola), racconterà a Identità Naturali la sua pizza per diabetici; e il giovane Stefano Vola (Bontà per Tutti), sarà tra i 12 talenti della Nuova Cucina Italiana. Ma se la pizzeria di qualità ormai ragiona come un grande ristorante, anche l’offerta enogastronomica che le viene richiesta deve ampliarsi: non più solo pizza, dunque, ma menu completo, antipasto, piatto principale e dolce, con standard adeguato in cantina. PizzaUp 2017 suggerisce una frittura come antipasto ma è solo un’idea. Il concetto è più generale.

Una "classe" di pizzaioli a PizzaUp, si riconoscono in tanti a partire da Simone Padoan, a destra

Una "classe" di pizzaioli a PizzaUp, si riconoscono in tanti a partire da Simone Padoan, a destra

2) Se la pizzeria di qualità deve ragionare come un ristorante, deve farlo anche nel conto economico. Piero Gabrieli ha tenuto a questo proposito un’illuminante lezione, basata su modelli di business plan. L’assunto è: la pizzeria gourmet è quella cosa che attira buongustai e appassionati anche da fuori regione, disposti a sobbarcarsi un viaggio e un conto più pesante per mangiare un gran piatto. Ma, poiché cercano la stessa esperienza d’eccellenza a 360° che già caratterizza un ristorante d’haute cuisine, vogliono trovare al loro arrivo un locale con standard raffinati, un servizio all’altezza, una cantina fornita. Sono tutti costi per il pizzaiolo-patron, che può scaricare solo in parte sulle pizze: nessuno paga 40 euro per una margherita, seppur eccellente. Che fare?

Il pizzaiolo di fascia alta deve vedersi come un vero e proprio imprenditore della ristorazione, e mutuare da lì il proprio modello di business. Un ristorante non guadagna sulle portate principali, ma sui “contorni”: antipasto, dolce e cantina. Così deve fare anche il pizzaiolo di qualità: affiancare alla propria proposta abituale, ossia la pizza, che serve solo a pagare i costi, quelle altre che hanno maggiore margine di guadagno, da lì arriverà l'utile d'esercizio. «Si guadagna sul superfluo, sulla coccola, non sulla base» (Piero Gabrieli).

Ma perché proprio il fritto?
1) Il fritto è un’idea, non un must. Ma è un’idea brillante perché, come ha spiegato lo chef Marco Valletta, tra i relatori a PizzaUp, si integra perfettamente in una pizzeria e con la pizza. Parliamo in entrambi casi di una logica da street food. Poi è “facile”, è un piatto appetibile. E’ versatile: «Puoi fare una frittella alla ricotta dolce, e diventa un dessert. Oppure una alla ricotta salata. Con la stessa tecnica, rielaborando solo il condimento, si può preparare quello che viene prima della pizza, e quello che viene dopo». Infine non richiede grossi interventi infrastrutturali: «La maggior parte dei pizzaioli ha cucine piccole: ma non è un problema installarvi una friggitrice da 3 litri, richiede un metro quadro. Vedo pizzaioli che si dotano di roner: che senso ha esasperare questa rincorsa all’alta ristorazione, senza prima battere una strada più praticabile», ossia una semplice friggitrice?

Silenzio, in cattedra c'è Corrado Assenza

Silenzio, in cattedra c'è Corrado Assenza

2) Il fritto può essere unto, indigesto. Se invece fatto bene, con una porzione non esagerata (deve ingannare il tempo di attesa della pizza, non sostituirla), con prodotti di qualità, è invece una golosità che piace e stuzzica la voglia di ordinazione. Va realizzato però di qualità, appunto: a questo hanno pensato lo stesso Valletta e il sommo Corrado Assenza, che nelle loro lezioni hanno parlato rispettivamente delle panature e delle pastelle ideali. Con assaggio, per (nostra) fortuna. Assenza: «Anni fa feci scalpore quando dissi che il mondo della pizzeria era dinamico mentre quello del quale faccio parte, la pasticceria, era fermo, involuto. Se vediamo cosa è successo nel frattempo, i fatti mi hanno dato ragione: i “vecchi” pizzaioli oggi sono diventati anche straordinari panificatori, pasticceri, cuochi, si sono insomma evoluti. Hanno avuto la forza di uscire dal loro recinto. Ora proponiamo loro di diventare anche friggitori».

Ma il fritto non fa male?
La risposta è arrivata da Davide Cassi, fondatore e direttore del Laboratorio di Fisica Gastronomica dell'Università di Parma, quasi un’incarnazione perfetta della scienza che dialoga con la cucina. Ha spiegato: «Noi non nutriamo solo il corpo, ma anche la nostra psicologia: l’aspetto emotivo è altrettanto importante. Il cibo che fa bene è (anche) quello che ci fa stare bene. In un ospedale la dieta è bilanciata, ma il paziente cade in depressione e questo non aiuta la guarigione. Lo stesso accade su una piattaforma petrolifera o su una nave spaziale. Mangiare senza gusto far star male; se mangiassimo solo per nutrire il fisico, vivremmo di pillole».

Insomma, un fritto “fa bene” perché è goloso e piacevole: «E allora scatta l’altro concetto, quello della moderazione. Il fritto non è veleno, non è arsenico: mangiarne una porzione non crea problemi. Anche mangiarne una porzione eccessiva non è un dramma di per sé, purché poi nei giorni seguenti si compensi con altro. Viene demonizzato a torto. Pensiamo a un arancino: se realizzato correttamente (se cioè l’olio è alla giusta temperatura, alta, e non penetra per raffreddamento all’interno dello stesso, ndr) la superficie che entra in contatto coi grassi di cottura è minima, ossia solo quella esterna, dove la reazione di Maillard dona croccantezza, mentre all'interno il processo è quello di una semplice cottura a bassa temperatura. Ci sono poi tecniche, come la doppia cottura, che servono appunto a espellere i grassi dall’interno dell’alimento fritto».

Davide Cassi, al centro in abito scuro, con alcuni dei partecipanti a PizzaUp

Davide Cassi, al centro in abito scuro, con alcuni dei partecipanti a PizzaUp

Quindi via libera al fritto ben realizzato, che è come dare l’ok a una bistecca purché non sia carbonizzata o a un’ostrica che non sia rimasta al sole per una settimana. In questi casi ci sembra ovvio, mentre con il fritto la percezione è diversa. Infine: «Il grasso saturo fa male se lo si mangia tutti i giorni. Se partecipo a una cena in cui il maiale è protagonista, nessuna preoccupazione: il nostro corpo agisce a lungo termine, reagisce a stimoli continuativi. Fa la media di quello che consumiamo nell’arco di un periodo». Basta un’insalata il giorno seguente e non c’è danno.

La nuova frontiera
Ultima annotazione, ossia una domanda e un dubbio che chi scrive ha espresso a relatori e pizzaioli: ma non è che parlate d'altro, di fritto in questo caso, perché gli spazi di miglioramento ulteriore della pizza sono ormai minimi, almeno per voi che costituite l'élite del vostro settore? Non ci sono margini per far meglio lì, allora ci si sposta altrove? La risposta è stata un sì e un no. Piero Gabrieli: «Vero: si può sempre migliorare, ma credo che sull'impasto classico ci sia ancora poco da scoprire. Eppure altre frontiere ci aspettano: ad esempio, quella sugli impasti "diversi"», quindi con altri cereali, o aromatizzati, viene in mente la lezione dello scorso anno, sempre a PizzaUp, di Heinz Beck. Se ne parlerà: sarà il tema della prossima edizione del simposio. Sempre avanti.


Carlo Mangio

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La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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