Paolo Lopriore ha iniziato a incuriosirmi quando lavoravo come sommelier a Milano. All'epoca non sapevo granché di lui, colpa mia, ma nell'ambiente il suo nome passava di bocca in bocca. E la sera in cui venne a cena da noi, mentre i colleghi si affannavano per compiacerlo, io - che non lo avevo riconosciuto - mi occupai di lui come di ogni altro cliente, ignara della portata dei miei gesti. Percepii un guizzo di follia solo verso la fine della cena, quando mi fermò al tavolo e, con gli occhi scintillanti, si mise a magnificare la tinta rosso fuoco delle nostre toilette…
Sono trascorsi quasi 2 anni da allora, un periodo durante il quale si è creata l’aspettativa tipica delle lunghe attese. Prenotando al Portico, il suo nuovo ristorante ad Appiano Gentile (Como), mi sono sentita come l'appassionato d'arte che acquista i biglietti per lo spettacolo o la mostra di un grande maestro. E in effetti è proprio questa l’idea che mi sono fatta di lui: un artista, una di quelle personalità complesse che vanno esplorate per essere apprezzate fino in fondo, proprio come un pittore o un compositore, le cui opere vedono stratificarsi livelli di lettura, e tanto più se ne resta conquistati quanto più si conosce a fondo la storia e la personalità dell'autore.
Non esiste un vero e proprio menu, al Portico, quindi occorre arrivare curiosi e disposti a gustare ciò che passa la cucina quel giorno. Per cena, si può scegliere fra due percorsi, uno di carne e uno di pesce, solitamente pesce di lago (a chilometro zero). Pochissime etichette di vino, 3 bollicine, 3 bianchi e 3 rossi selezionati da Paolo stesso: "work in progress", dice lui mostrandomi la piccola - e ancora semivuota - cantina, ma credo che l'obiettivo non sia quello di avere una carta dei vini monumentale.

Trancio di pesce di lago lariano, alloro, albicocche secche sottaceto e salsa alla mandorla
Il servizio è giovane, informale ma ben curato, certamente in fase di assestamento, con qualche soluzione "naif" come l'utilizzo di foglietti di carta come sottobottiglia. Abbiamo scelto il menu di pesce, con l'aggiunta di un invitante "extra" di carne:
Uova di pesce di lago, cavolfiore crudo e cotto, le foglie sotto aceto e capperi salati; Ravioli di mela cotogna, missoltino ripassato in padella di ferro, salsa al burro e prezzemolo in foglie; Trancio di pesce di lago lariano, alloro, albicocche secche sottaceto e salsa alla mandorla; Petto di piccione profumato alla cannella e limone, cipolla fondente e patata dolce (l'extra "rubato" al menu di carne); Castagnaccio.
E' una cucina che non arriva solo come sintesi concettuale, ma nemmeno come puro piacere edonistico. C’è un’estetica della semplicità, c’è una complessità compositiva, c’è un percorso ragionato. Materia in primo piano, che parla una lingua antica e al contempo nuova. "Tavola conviviale", come l'ha definita lui stesso, per sdoganare l’alta cucina e riportarla al piacere della condivisione a tavola, paradigma di una sana italianità. Una convivialità, a mio avviso, solo apparentemente semplice, ma fatta di elementi complessi: attrezzature innovative, cotture millimetriche, ingredienti proposti a tavola in molteplici contenitori dai quali attingere per comporre il proprio piatto - non semplici “topping”, ma elementi essenziali alla realizzazione del piatto stesso.
Certo, l'effetto è spiazzante, se si è abituati a concepire i piatti come opere compiute, pensate e realizzate in toto dall'artista/chef, non passibili di modifica né integrazione, se non quelle date dalla fruizione. Ancor più straniante se si è avvezzi a una certa consuetudine di servizio, con il cambio del piatto (inteso come contenitore) e delle posate a ogni portata: al Portico questo non avviene, perché c'è un'esplicita volontà di stratificare sapori e sensazioni.
Così accade che ogni commensale, componendo i propri piatti dall'inizio al termine del pasto, finisca per vivere un'esperienza del tutto personale, parzialmente o totalmente diversa da quella degli altri commensali. Un approccio tanto affascinante quanto rischioso, come può esserlo cedere pennello e colori allo spettatore, lasciandogli l'onere e l'onore di completare un dipinto, godendo dell'opera in modo totalmente personale.
La semplicità di Lopriore, oggi, è il frutto di una stratificazione lenta e complessa di esperienze, ricerche, abilità e intelligenze: è insieme superficie ed essenza delle cose. Io resto come sospesa, in attesa di vedere dove questa lo porterà. Intanto lo sappiamo sul palco di Identità Golose 2017 lunedì 6 marzo. Ci sarò.