Va', vivi e diventa. Quando i suoi amici gli fecero capire che era più bravo a cucinare che a graffitare nottetempo coi cinematografari dell'underground parigino, pochi si sarebbero aspettati di vederlo incarnare un di' la nuova guardia dei fornelli francesi. Lo dice lui stesso che, se il sabato si riposa sul bancone del Baratin di Raquel Carema, è per rinfrescare i valori essenziali della vita. Dell'apprentissage passardiano alla prima stella poco più che 25enne sotto la rigida egida dell'Agapé di Laurent Lapaire, prussiana esperienza che sfociò poi nella romantica fuga in Oriente (con Tatiana, la donna della sua vita) per meglio sabbaticamente riflettere all'essenziale del resto della sua verde vita, di tutto questo Septime porta la traccia.
Le porta in ogni salutare dubbio, in ogni prodotto collettivamente provato, assaggiato, cucinato, approvato. C'è Theo all'entrata, figura dinoccolata ed esemplare di questo spazio aperto, elegante (ma ai piedi, Converse, New Balance o Nike son di rigore) alla buona ma tanto riflettuto. Che sa stemperare la nordica essenzialità del suo spazio di legno grezzo in una rilassatezza bistrottiera più smaccatamente parigina. Ed è sempre Theo, ineccepibile maître des cérémonies e italiano-enofilo senza pari (fatevi raccontar delle sue damigiane di vini emiliani, vini naturali ovviamente che altrettanto naturalmente fermentano ed esplodono allagando tutta la cantina) che incarna un servizio dalla più schietta naturalezza che sembra confutare l'irrisoluzione dello Chateaubriand - metro di paragone della vocazione di migliaia di nuove carriere.

Merluzzo con carote e zucchine di Bertrand Grébaut (foto Lindsey Tramuta)
Qui da Grébaut non è tanto l'utopia che scalza la realtà, è il possibile ora e qua che detta le coordinate d'una cucina d'illazione e d'immediata esecuzione, di cotture soft e contrasti recisi, accordi liminali e passerelle di complici consistenze. Quando il nitore rima con sapore e schiettezza con amore, si sfondano allora mura ataviche e steccati impensabili facendo risonare sulla stessa lunghezza d'onda il sopravvivere della gastronomia (o di quel che ne resta) col ben piu' essenziale
lifestyle dell'alter-bistronomia.
Al diktat del dovere
Grébaut risponde ogni dì, via il menu che gli passa per la testa (
Gnocchetti di mais, crema di gruyère, salvia e germi di sanbuco;
Tartare di vitellino, ostriche e mousseline di patate) che cucinare è importante ma vivere lo è mille volte di più. E qui si vivono le cose al presente dell'indicativo. Come da nessuna altra parte tutte le tappe, le trovate, le idee prese al volo, le riflessione lungamente maturate: i
Salsifis con indivie brasate e crema di comte, il
Cuore di anatra con foglie di cavolo cristallizzate, tuorlo d'uovo, succo di carne e mostarda a volontà prima d'un superlativo
Baccalà ai funghi shiitake et navets neri e composta d'arance amare. Certo, uscendo da
Grébaut ci saranno sempre i c******* che diranno come quelli che tirano la porta dello
Chateaubriand "ma si mangia meglio da...".