La sala è piena, molti sono giovani. Le tre stelle dell'abruzzese Niko Romito sono un richiamo irresistibile, ma quello che non finisce mai di stupire è la sua idea di cucina e il suo modo di spiegarla, senza spocchia ma con la semplicità delle parole che spiegano come la rivoluzione si fa andando all'Essenza della materia, «che è bellezza e verità». Dal 2007 lui non è mai mancato al Congresso di Identità Golose e ancora ricorda «con agitazione» quando, nel 2005, Paolo Marchi dopo aver fatto tappa al suo ristorante Reale a Castel di Sangro (L'Aquila) gli disse che lo voleva sul palco. «Non mi pareva vero – sorride –, quando ho iniziato non ero consapevole di quello che stavo facendo e l'agitazione della prima volta si rinnova ad ogni appuntamento. Quest'anno poi il Reale compie 25 anni, ha cambiato la vita a me e a mia sorella Cristina. Ho 50 anni e molto in comune con lo spirito del Congresso: il passato ci deve proiettare nel futuro, la storia si conserva nei musei, noi dobbiamo anticipare una direzione».
Romito in cucina ci è finito per caso, studiava economia quando a 24 anni si è ritrovato, senza aver mai cucinato, ad occuparsi della trattoria di famiglia. E probabilmente anche per quello il suo approccio è sempre stato quello di farsi domande su tutto, un approccio conoscitivo sul cibo. Gli è sempre interessato comprendere i processi di trasformazione degli ingredienti, «un lavoro di codifica che attraversa il tempo»: solo così «una sintesi del passato diventa una base per il futuro. Occorre guardare indietro per proiettarsi in avanti ma liberi dalle costrizioni di una tradizione considerata come qualcosa di statico e non modificabile».
A questo proposito è importante contrabattere chi decreta la morte del fine dining: «Non è così – sottolinea Romito -, ma è vero che il fine dining deve diventare l'inizio di una riflessione potente, dobbiamo accendere scintille che generano una cucina di ricerca capace di guardare al passato e alla tradizione come base e stimolo per inventare la cucina del futuro». E qui arriva l'attacco a una mentalità da ribaltare: «L'errore è stato quello di copiare, di guardare a modelli che non ci appartengono, d'imitare quello che fanno gli altri all'estero perdendo la verità, la nostra verità che è qualità e concretezza. Non abbiamo usato il bagaglio enorme delle nostre tradizioni per disegnare il futuro. Ma i giovani si sono stufati di un fine dining fatto di scena senza un vero messaggio dentro».

Sala gremita per la lezione di Niko Romito che, senza mezzi termini, ha detto basta a un fine dining fatto di scena ma senza un messaggio dentro
Sullo schermo passano alcuni dei suoi piatti più famosi (l'Assoluto di cipolle, il Carciofo e rosmarino, la Trota, mandorla e alloro, l'Insalata tiepida di bieta, la Pasta, verza, rafano e brodo...) che già dal nome essenziale e schematico stimolano l'altro urlo di Romito: «Basta scena, abbellimenti e frivolezze. Teniamoci stretta la nostra identità territoriale e personale. Se io dovessi aprire una scuola sarebbe di cucina classica. Lo chef si identifichi nelle sue radici e le faccia esplodere».
Sì, lo chef del Reale usa proprio un verbo forte come esplodere, ma fa anche di più quando dice che non è d'accordo con chi sostiene che per rispettare la materia prima occorre mantenerla nella maniera più integra possibile: «Io la polverizzo, la distruggo e poi la ricostruisco. Una carota la scompongo e ricompongo per cercare il gusto puro e ritrovarla così al palato in forma differente. Stessa cosa per la foglia, ne rispetto la forma ma vado a scartavetrarne gli aspetti nascosti per portare alla luce l'anima della materia. Mi piace ricostruirla in una forma più elevata e più utile al risultato finale». Romito spiega che non tutto è semplice e non tutto è immediato. Occorre tanto studio, tante prove, tanti tentativi ed altrettanti fallimenti ma – sottolinea – «ogni chef può arrivare a trovare la propria strada, come ho fatto io da autodidatta. Studiandosi e ponendosi domande. E' stato così, per esempio, quando mi sono concentrato sul rapporto tra intingolo e pasta. Da spaghetto col pomodoro sono arrivato a spaghetto e pomodoro. La consistenza è un ingrediente fondamentale per trovare l'equilibrio di un piatto che non arriva mai al primo boccone».

Niko Romito ha spiegato: «Bisogna trasformare per arrivare al risultato e scoprire che quella tecnica può essere messa a sistema, diventare forza per il mio piatto e ristorante, ma anche di altri»
E poi ti spiega come è proprio con gli ingredienti più semplici che puoi dare il meglio se solo sai arrivarne all'Essenza, che poi «è un assoluto. E' bellezza, verità, trasparenza. E non accetta compromessi: il piatto o è fatto bene o è fatto male». E qui esce un altro lato di Romito che spiega di amare molto il design e l'architettura di
Mario Botta e
Carlo Scarpa. Il suo approccio materico nasce proprio da quel modo di costruire: «Mi affascina il materiale grezzo che diventa altro. Trasformare per arrivare al risultato e scoprire che quella tecnica può essere messa a sistema, diventare forza per il mio piatto e il mio ristorante ma anche di altri, per far crescere insieme la nostra cucina. E' importante il potenziale futuro che può generare».