Da due parole inglesi, food e feeling, cibo e sentimento, può nascere una parola francese?
Oui: fooding, ed è quasi un miracolo se si tiene conto che i nostri cugini tendono a ignorare l’esistenza stessa della lingua inglese. Per la serie “quattro giornalisti a tavola”, nel ’99 successe che
Alexandre Cammas,
Emmanuel Rubin,
Julie Andrieu e
Guillaume Crouzet, con i primi due ancora protagonisti e i secondi due che hanno imboccato altre strade, si misero in testa di rivoluzionare la critica gastronomica, rendendola popolare e informale. Se la fama e le fortune planetarie dell’haute cuisine française sono incarnate dalla
Michelin, con le sue stelle e i suoi ori, ma anche i suoi prezzi spesso impossibili e la lentezza nel promuovere e nel bocciare, loro avrebbero creato qualcosa di opposto.
Cammas e
Rubin (con il secondo che delega molto al primo perché impegnato anche in due testate come
Figaroscope e l'
Optimum) pensavano a guide e a eventi di una serietà massima senza però prendersi sul serio, soprattutto senza tabù, pronti a mangiare ovunque, nel grande indirizzo da 300 euro vino a parte - i più graditi dalla critica convenzionale a patto qualcuno rimborsi - come nella bettola araba dove cous cous e kebab costano niente ma sono di una bontà infinita.
La vera rivoluzione del
Fooding non è però solo nello straordinario ventaglio di porte attraversate, in fondo la stessa
Michelin segnala tavole economiche con tanto di guida low cost. La novità - che per noi italiani non sarebbe sconvolgente, solo ad averla codificata e annunciata al mondo come nuova verità - è tutta in quel cercare il giusto feeling con il locale visitato, quello star bene a tavola che va oltre il mangiar bene e che è alla base della nostra ristorazione quotidiana.
Cammas, oggi 36enne, evitò di porre il cibo al centro del giudizio, sfumando ogni altro aspetto fino a ignorarlo, come si vantano invece di fare tanti suoi colleghi.
Il
Fooding non è cosa per tromboni stile critico del film
Ratatouille e nemmeno per i talebani della tradizione piuttosto che della spesa estrema.
Alexandre ama ricordare che la sua è una visione più libera e divertente di celebrare l’arte culinaria, seguendo tre regole semplici semplici:
1. Mai presentarsi come critico;
2. Pagare regolarmente il conto;
3. Scrivere di un posto solo se è piaciuto al punto da tornarci, la politica dell’arrivederci e non dell’addio.
È dal 2000 che Fooding crea e scrive partendo da Parigi, che da sola vale tutto il resto dell’Esagono visto che una guida alla Francia intera uscirà solo questo inverno. Il sito,
www.fooding.fr, è brillante e documentato senza sembrare un angolo enciclopedico per appassionati della buona tavola. I responsabili amano infatti mischiarsi con altre figure professionali a tutta genialità: food designer, illustratori, fotografi, grafici, musicisti, anche cuochi senza i quali i vari eventi non avrebbero luogo.
Il
Fooding è nuovo perché ha fatto scendere gli chef stellati dal piedistallo moltiplicando i modi di consumare il cibo, senza mai scordarsi la qualità dello stesso, ci mancherebbe, non stiamo parlando di un fast food, e aggiungendovi un sorriso.
Cammas ricorda che a formare un giudizio concorrono il benvenuto del patron (un grugnito è una pessimo biglietto da visita), il prezzo (più è alto...), i tempi di attesa (più sono lunghi...), gli odori - mille volte meglio un profumo di una puzza -, la brillantezza dei camerieri (guai se sono sciatti) fino alla discriminante massima: il posto deve essere genuino, con uno stile autentico, a tutta onestà. Guai spacciarsi per qualcos’altro.
A ricordarlo si finisce con lo stilare un elenco di ovvietà. Il punto è che la critica Michelin-style ha sempre privilegiato i locali a tutta ricchezza, sempre meno capiti e frequentati dal pubblico giovane e da chi ha uno stipendio normale.
Cammas organizza picnic per migliaia di persone, pubblica numeri unici dedicati a città, Londra e Amsterdam, Berlino e Roma, visitate cercando solo insegne fresche, aperte da non più di due anni, fa cucinare a casa loro un giornalista piuttosto che un’agente di viaggio o l’ex moglie di un pasticciere per ospiti che ricreano il rito del convivio casalingo e quando deve giudicare un ristorante non ricorre a voti: chi c’è c’è.