18-01-2009

Donne chef: welcome

Cucinano da sempre, ma da sempre sono obbligate dai loro uomini a interpretare il ruolo di donne del focolare, mogli e mamme, casalinghe e cuoche. In Italia a maggior ragione, paese che si fa vanto di una ultra secolare tradizione nel campo tanto che quando francesi e spagnoli vogliono ridimensionare il successo dei prodotti e della cucina italiana parlano di «cucina della mamma». Lo fanno per ribadire, i gourmet francesi la grandezza della loro organizzazione e la capacità di avere imposto la loro come alta cucina internazionale e gli spagnoli la felice creatività dei cuochi di ultima generazione, un po’ come a suo tempo nell’arte con i Picasso e i Dalì. È un sottindere che non abbiamo inventato nulla.

Gli stranieri però, soprattutto quando si presentano da noi come turisti, ammirano la nostra cucina semplice (all’apparenza), la capacità di godere della tavola anche in casa e non solo fuori, la continua voglia che abbiamo di parlare di piatti e di ricette, l’essere in grado di deliziare con due ingredienti scottati e un filo di olio, quell’essere una spugna capaci nel tempo di italianizzare qualsiasi materia prima (vedere il boom dei kiwi) e anche un caleidoscopio di mille abbinamenti diversi, per cui è maledettamente difficile codificare una cucina nazionale.

È la forma della trattoria, della famiglia che trasforma la casa in un pubblico esercizio. Solo che è anche la condanna delle cuochine che diventano cuoche, ma quasi mai chef, parola da usare con il significato originario francese, che è capo e non cuoco. Attorno a forni e fuochi ci sono tanti polli, ma un solo gallo. E le donne faticano a decidere cosa si cucina. A ogni stagione dei congressi, San Sebastian a novembre, Madrid Fusion adesso, poi Identità Golose, Forum di Girona, Omnivore in Francia, Melbourne a marzo (con Luisa Valazza sul palco) c’è sempre chi si lamenta perché poche lezioni sono al femminile.

Però è vero che di norma le donne perpetuano delle tradizioni (e come tali note), mentre gli uomini sono più svincolati e libero di esprimere quello che sentono. Questo sta però diventando pian piano un luogo comune. L’altra metà della cucina sgomita. Sono numeri minimi, percentuali da metalli disciolti nella minerale ma ci sono. Prima conseguenza: l’Italia non ha più il monopolio delle tre stelle in rosso (il colore rosa appartiene alla cucina gay). A Nadia Santini (Pescatore a Canneto), Annie Feolde (Enoteca Pinchiorri a Firenze) e Luisa Valazza (Sorriso a Soriso in Piemonte), si sono aggiunte la catalana Carme Ruscalleda e la francese Anne-Sophie Pic a Valence, prima cuoca-chef in casa Pic dopo due cuochi-chef, il padre e il nonno. E a Parigi scalpita Hélène Darroze, due stelle, popolarissima da quando ha contribuito al film Ratatouille. In Italia, oltre alle tre regine, quasi settanta ristoranti hanno una donna alle padelle ma ancora sono tutte parenti del patron come Valeria Piccini da Caino a Montemerano (Grosseto) e la Nadia di Aimo e Nadia a Milano. Ma quelle che rompono le catene sono grintose come la croata Sonja Peric, il 1° febbraio a Milano, Antonella Ricci a Ceglie (Brindisi), Barbara Scabin a Rivoli, Marta Grassi a Novara, Aurora Mazzucchelli a Sasso Marconi, Cristina Bowerman a Roma.

Non che per loro non ci sia in eterno agguato la gravidanza o la voglia di una relazione stabile, ad esempio è questo che ha spinto la pasticciera Loretta Fanella a staccarsi dalla Pinchiorri, ma è come se le ultime generazioni si siano fatte carico anche del peso di essere chef e non solo cuoche. Purtroppo due mani sono ancora troppe per contare quante sono a livello di Gvci, Gruppo virtuale cuochi italiani, il due o tre per cento ma ben lontane da casa: Oriana Tirabassi da Mumbai sogna Pechino, Odette Fada è una sicurezza a New York, Silvia Bernardini a Veracruz (Mexico), Donatella Zampoli, già a Kuala Lumpur, ora ha aperto a Budapest, Susy Massetti è in Bahrain, Elena Ruocco a Rio de Janeiro, Giovanna Marson a Chennai in India... Caratteri tosti.


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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