19-07-2019
Naoko Aoki in un kimono originale giapponese, titolare dall'apertura nel 1999 di Osaka, autentico ristorante giapponese a Milano. Alla sua destra lo Chef Ikeda, alla sua sinistra lo Sous Chef Takimoto. Foto di Francesco Mion
Milano conta tra i 300 e i 400 locali di cucina giapponese o presunta tale. Erano circa 130 una decina di anni fa, eppure non è cambiato nulla. Possibile? Possibilissimo. Quelli che hanno uno chef giapponese, non un titolare giapponese, giusto il primo cuoco, non arrivavano a quindici allora e non vi arrivano adesso. Sono invece quasi quadruplicate le insegne dove di nipponico c’è quasi esclusivamente un nome di comodo. Nella stragrande maggioranza dei casi sono commercianti cinesi che hanno fiutato il business della cucina giapponese e si sono applicati senza fatica alcuna.
Non mancano le eccezioni, su tutte quella incarnata da Claudio Liu, cinese, e il suo stellato Iyo, cucina giapponese, nessuno dubbio su questo, ma con chef italiano, Michele Biassoni. Poi ecco Yoji Tokuyoshi che arriva dal Sol Levante,
Sono indirizzi di sicura qualità, ma nessuno dei tre oggi entrerebbe nell’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi. Che poi tanto tricolore non è visto che, fondata a Milano nel 2003, non solo non si è mai allargata al resto della penisola, ma ha pure perso qualche iscritto. Più per gelosie e scarso dinamismo che per altro. Oggi sette locali in tutto, ma quattro hanno la medesima proprietà, Poporoya e Shiro del maestro Shiro Hirazawa, Finger’s e Finger’s Garden del nippo-brasiliano Roberto Okabe, quindi ecco Osaka della poliedrica Naoko Aoki nonché Zero in corso Magenta. Infine la maestra Kyoko
Higuma che ha chiuso da tempo ma che, per fortuna, continua a perorare la causa delle vera cucina nipponica.
Questo, e tanto altro ancora, è tornato d’attualità perché Osaka, in corso Garibaldi 68, telefono +39.02.29060678, ha da poco festeggiato i 20 anni di apertura. Tutto ebbe inizio nel 1999 con Naoko Aoki, ferratissima in tutto quanto fa moda, tanto da muoversi tra Parigi, Milano e Tokio, neofita a livello ristoranti. Decisivo l’incontro con un connazionale che in riva alla Senna guidava tre posti, uno si chiamava Osaka. «Lo convinsi ad aprirne uno pure a Milano, specialità ramen. Oggi vanno tanto di moda, allora erano ben poco conosciuti. Rimanemmo soci fino al 2009».
Seguirono i sushi e la washoku, dove wa sta per giapponese e shoku per cibo. In cucina dal 2001 Chef Ikeda, «Cosa amo mangiare io? Pesce alla griglia, riso bianco e zuppa di miso. In vent’anni sono cambiate molte cose. Se gli italiani ci associano al pesce crudo, i giovani giapponesi non sono più così rigorosi e mangiano italiano senza porsi tanti problemi. Solo chi ha almeno 60 anni resta
Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito
di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi