11-06-2018
Ferran Adrià festeggiato al Castello di Grinzane Cavour; alla sua sinistra Terry Giacomello, ora chef del ristorante Inkiostro a Parma, per circa quattro anni al Bulli a Rosas, il celeberrimo locale dello chef catalano
Ventiquattro ore in tutto, ma nemmeno un minuto sprecato per Ferran Adrià. Sabato a Torino l’anteprima alla stampa di Condividere, il ristorante pensato all’interno della Nuvola Lavazza e affidato a Federico Zanasi, come raccontato qui da Carlo Passera, e ieri l’omaggio tributato al genio catalano da Langhe, Roero e Monferrato al castello di Grinzane Cavour. Tutto nel segno dei Dialoghi del gusto nei paesaggi Unesco.
Il tempo di farsi portare in tavola una quarta volta gli Agnolotti del plin alla curdunà di Piera Cirio, della Madonna della Neve a Cessole, e Ferran salutava tutti. Via verso l’aeroporto di Caselle, non senza aver fatto capire che quei minuscoli ravioli serviti asciutti su un tovagliolo, la curdunà, simboleggiavano perfettamente la prevalenza dell’arte culinaria sull’alta cucina di secolare stampo francese.
Gli Agnolotti del plin alla curdunà che hanno deliziato il pranzo in onore di Ferran Adrià domenica 10 giugno al Castello di Grinzane Cavour
Foto ricordo, e tanti applausi da parte dei presenti, per chi ha firmato il pranzo in onore di Ferran Adrià domencia 10 giugno. Da sinistra verso destra: Marc Lanteri, chef residente nel Castello di Grinzane Cavour, Francesca Cirio, 82 anni, cuoca al ristorante Madonna della Neve a Cessole, da tutti chiamata Piera. Infine suo figlio Piermassimo Cirio
E non è certo uno scherzo per lo stesso emiliano: «Mi ha colpito un aspetto su tutti: Ferran ti chiede il perché di ogni ingrediente, accostamento, passaggio, la logica che ti ha portato a fare una determinata scelta. Guai restare nel vago». Ma questo è il futuro di una insegna nuova. Al castello di Grinzane il catalano è stato generoso di ricordi, il pellegrinaggio iniziato nel 1995 da parte di personaggi come Carlo Petrini, Giorgio Grigliati, Bob Noto che prima di salire in cielo
Lavorare al Bulli, aperto sei mesi all’anno, da inizio primavera a fine estate, voleva dire non fermarsi mai ma, dirà Ferran, «si mettevano tutte le conoscenze in comune, non come nella mia gavetta in Francia, tanto impegno ma mai un segreto svelato». Quella Francia della quale ricorderà i quattro secoli di monopolio creativo, interrotti dall’avvento del Bulli: «Il primo passo fu la pubblicazione nel 1993 di El Bulli: el sabor del Mediterráneo. In rete ho trovato una copia in vendita a 1200 euro. Per la prima volta entravano nella cosiddetta alta cucina piatti popolari come la salsa romesco e il gazpacho. Altri quattro anni
La sala di Condividere, il ristorante voluto dalla Lavazza nella sua nuova sede a Torino
Lì a Cala Montijoi era tutto nuovo: «Ogni anno piatti completamente nuovi, non accadeva e non accade da nessuna altra parte in 12 mesi. Ne abbiamo contati 1846 e così, stesso luogo, nel 2019 avremo ElBulli1846 che sarà un ristorante non-ristorante, più la fondazione, più il centro dedicato alla ricerca sull’innovazione, più Barcellona, più l’enciclopedia di 65 libri da 600 pagine. Avevamo chiuso il Bulli perché eravamo esplorato i limiti e sentivamo il bisogno di allargare gli orizzonti».
Tramonto sulle colline di Langa
E si potrebbe andare avanti a lungo a raccontare, tra il Bulli di ieri e quello che sta per arrivare.
Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito
a cura di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi