Nessun dubbio: se dici Armani tutti vanno immediatamente al mondo della moda che re Giorgio, classe 1934, illumina da mezzo secolo. La voce che gli dedica Wikipedia elenca ogni suo passo, decisione e successo, ma ignora un lato del suo impero e non bisogna stupirsi. Non è infatti istantaneo accostare il quinto uomo più ricco d’Italia secondo Forbes (e il 174° al mondo) alla ristorazione. Eppure il gruppo conta la sorprendente cifra di 25 (venticinque!) tra caffè, ristoranti e alberghi, tre solo in via Manzoni a Milano, il resto tra Tokyo, New York e Dubai.
Il problema è che chi vi lavora deve mettere da parte ogni ambizione di apparire, di ergersi a protagonista. Non esistono i singoli, esiste lo Stile Armani. Stop. L’esatto opposto del protagonismo alla Masterchef, come se una squadra di calcio non comunicasse il nome dell’allenatore perché le persone passano e le bandiere restano. Unica eccezione nel 2000, ma non poteva essere altrimenti: lo sbarco di Nobu, troppo star assoluta perché sull’insegna fosse scritto qualcosa di diverso da Armani Nobu.

I quattro antipasti, uno per ognuno dei quattro chef dei quattro locali gourmet che il gruppo fondato e guidato da Giorgio Armani ha aperto nel mondo
Viste le premesse, grande clamore ha destato un invito di metà novembre, due cene, l’11 e il 12 novembre all’Armani Ristorante a Milano, presente la seconda volta anche re Giorgio che ha voluto far conoscere la cucina dei suoi quattro locali gourmet e solo in extremis i rispettivi chef. Lo ha fatto secondo il suo stile, sussurrato al via, più evidente al termine ma sempre senza chiasso, piuttosto tanta eleganza.
Per capirci, io presente il giorno 11, ho trovato al mio tavolo un menù senza i nomi di chi avrebbe curato le varie portate. Solo quelli delle città. E fino al caffè in tavola, non era affatto sicuro che i cuochi sarebbero usciti, cosa poi accaduta tra lo stupore di chi è più uso al mondo Armani. Per l’intera serata si poteva solo sapere che, ad esempio, il Risotto alla zucca era targato Dubai, il Raviolo di capasanta Tokyo, il Filetto di wagyu con spugnole New York e la Semisfera di cioccolato Milano.

Il Raviolo di capasanta, con risotta, olive nere e pomodori di Francesco Mazzi, chef all'Armani di Tokyo
Poi la sfilata a sorpresa, per raccogliere applausi e rispondere a domande che altrove nessuno pone se non all’aiuto-pasticciere perché gli chef sono noti. Del tipo: Lei è…? Dov’è nato? E prima di Armani dov’era? E così alla fine si è completato il quadro.
Filippo Gozzoli, ex
Park Hyatt a Milano per dirne una, guida la corazzata milanese.
Alessandro Salvatico, già a ottobre con noi a
Identità Expo, regge il timone di Dubai così come
Fabio Bano, ex
San Domenico e
Gramercy Tavern a New York, è sempre lì a Manhattan ma per
Armani. Infine Tokyo, piazza affidata a
Francesco Mazzi, già alla
Pinchiorri.
E la seconda sera non solo
Giorgio Armani si è accomodato al tavolo con alcuni suoi ospiti, ma ha allestito un set per una foto con tutti e quattro i suoi chef, con tanto di fiumi di informazioni il giorno dopo ancora. Mi è piaciuto molto tutto questo perché denuncia intelligenza e pragmatismo. Il doppio appuntamento meneghino non era fine a se stesso, una-volta-una e poi ciao. E’ stato il primo di un tour che toccherà tutte e quattro le destinazioni
Armani.

Il Filetto di wagyu con spugnole alla finanziera e polenta bainca proprosto a Milano da Fabio Bano, chef del ristorante Armani a New York
I vertici lo hanno chiamato
A world journey: four chefs from four corners, Un giro del mondo: quattro cuochi per quattro angoli. Prossima sosta a fine marzo in Giappone quando i ciliegi saranno in fiore. In autunno Dubai e nella primavera 2017 New York. E di certo
Armani si deve essere reso conto della forza comunicativa dell’intero movimento della cucina d’autore, echi che per essere efficaci hanno bisogno anche di nomi, storie e volti. E tra pensiero e azione non ha fatto passare mesi, giusto alcune ore. In fondo, se sei convinto della bontà di una scelta perché perdere tempo?