Piena autonomia e piena dignità alla pizza, basta crederci e attrezzare i locali sul piano del comfort, della scelta delle farine dove è in atto una rivoluzione lenta ma tenace e mettere a punto una carta dei vini o delle birre a misura di eccellenza. Su queste coordinate si è dipanato il dibattito finale che ha chiuso la lunga giornata di lavori nell’auditorium, un dialogo a molte voci moderato e coordinato da Paolo Marchi e Roberto Restelli, ex direttore della Michelin Italia secondo cui non è eretica l’idea di assegnare una stella alle pizzerie, come non lo è stata nel 1962 quando a incassare il blasone della Rossa fu - prima e unica pizzeria - la Negri a Pontecagnano, senza che «nessuno se ne sia accorto».
Protagonisti del dibattito
Renato Bosco (
Saporè – San Martino Buon Albergo, Verona),
Enzo Coccia (
La Notizia - Napoli),
Massimo Giovannini (
Apogeo – Pietrasanta, Lucca),
Simone Padoan (
I Tigli – San Bonifacio, Verona),
Franco Pepe (
Pepe in Grani – Caiazzo, Caserta) e
Gino Sorbillo (
Pizzeria Sorbillo - Napoli). Filo rosso di tante storie, diverse e affini, lo scatto d’orgoglio impresso al piatto-icona della cucina made in Italy, se è vero che un pizzaiolo come
Franco Pepe sceglie di affiancare al suo lavoro una figura come un agronomo, che abbia l’ultima parola nella scelta delle materie prime insieme al pizzaiolo.
«Il mondo del lievitato è complesso e difficile tanto quanto è affascinante, ma credo che per raggiungere l’emozione appagante della stella bisogna far parlare molto di più quello che facciamo, zittendo noi stessi», parola di
Simone Padoan, ovvero con
Bosco il pizzaiolo più a Nord di tutto il consesso. Insomma, «imparare nuove tecniche e misurare la qualità del lavoro sulla qualità del pensiero», una strada lunga tutta da percorrere per entrare di diritto nel firmamento gourmet degli stellati. «Quindici anni di questo cammino sono pochi – ha concluso
Padoan – La strada è lunga e quando arriverà se arriva, e mi auguri che arrivi senza spinte».