01-03-2012

Dietro quella tavola c'è un dittatore

Cesar Ramirez, come stregare la Michelin con 18 coperti in un centro commerciale a Brooklyn

Cesar Ramirez, fenomeno messicano che cucina in un

Cesar Ramirez, fenomeno messicano che cucina in un centro commerciale di Brooklyn, dietro un bancone che può accogliere un massimo di 18 clienti, lo Chef’s Table at Brooklyn Fare. Ramirez ha bruciato le tappe: nonostante l'essenzialità del posto, la Michelin gli attribuisce tre stelle. La foto è di Evan Sung per il New York Times

La materia prima batte tutti! E' questa la filosofia dello chef messicano Cesar Ramirez che in pochi anni ha lasciato un segno forte nel panorama della grande gastronomia newyorkese.

Per arrivare al top del top non bisogna aprire a Madison Avenue o Columbus Circle. Non serve mettere le radici nel East Village o farsi belli al Meatpaking District. In una via anonima di Brooklyn (mica Dumbo o Williamsburg i quartieri di tendenza), tra l'uscita del metro e un parcheggio multipiano a Bodrum Hill, Brooklyn Fare non ha neppure una insegna. Sbirciando da fuori sembra ci sia un corso di cucina. Diciotto persone stanno sedute attorno a un piano d'acciao semicircolare, di fronte a loro lo chef e una piccola brigata rapida, efficiente e silenziosa. E’ lo Chef’s Table at Brooklyn Fare, il tavolo dello chef (che è anche il solo tavolo) in un centro gastro-commerciale al 200 di Schermerhorn Street chiamato Brooklyn Fare.

Una creazione del messicano Cesar Ramirez a Brooklyn, un ristorante da 18 coperti in un centro commerciale

Una creazione del messicano Cesar Ramirez a Brooklyn, un ristorante da 18 coperti in un centro commerciale

Trovarvi un posto è una autentica impresa: si può fare solo al telefono, +1(718)2430050 il numero da comporre, chefstable @brooklynfare.com la e-mail, con un mese e mezzo di anticipo una volta alla settimana dalle 10.30, ma dopo 20 minuti i posti sono andati tutti. C'è chi ha provato a chiamare con tre telefoni contemporaneamente senza riuscire a prendere la linea. Tutto questo per un ristorante dove il menù degustazione costa 225 dollari e al momento della prenotazione sono già spariti dalla carta di credito, compresa l'aggiunta del 20 per cento di mancia obbligatoria. A fine cena si paga solo il vino.

Chi ha intolleranze non può venire, qui si mangia esclusivamente quello che vuole lo chef, quello che cerca con determinata ossessione: per esempio a febbraio i porcini arrivavano dal Sudafrica e tutto il pesce arriva dal mercato di Tokyo. Il comandante Ramirez ha deciso che non si possono fare fotografie, ma non si possono neppure prendere appunti, segnarsi i nomi dei piatti che arrivano (piu' di 20 uno dopo l'altro in due ore spaccate). O così o pomì, tanto che è stato capace di cacciare un cliente dopo una sola portata, ossessionato dall'idea che qualcuno possa rubargli le ricette.

Insomma ci sarebbero già ingredienti per dire anche no grazie, ma sarebbe un errore, perché poi la cena è intima e cordiale e si ascolta volentieri la filosofia del patron, la sua dedizione per la ricerca della materia prima difficile da trovare. Nato in Messico nel 1972, Cesar Ramirez è cresciuto a Chicago dove per la prima volta ha messo piede nella cucina di un ristorante. Si professa autodidatta, ma la sua crescita professionale è stata da Bouley a New York dove è stato executive chef per otto anni. Odia tutto ciò che è molecolare: si ispira soprattutto alla cucina giapponese e a quella spagnola.

Quando un tre stelle Michelin non rientra nei canoni classici ai quali la guida francese aveva abituito tutti nel mondo: ecco lo Chef’s Table at Brooklyn Fare in una foto del bl

Quando un tre stelle Michelin non rientra nei canoni classici ai quali la guida francese aveva abituito tutti nel mondo: ecco lo Chef’s Table at Brooklyn Fare in una foto del bl

Le prime portate sono sostanzialmente dei piccoli assaggi di pesce crudo, conditi con salse originali. Ce ne sono a base di yogurt, di wasaby e di daykon. I pesci vanno dal San Pietro allo Storione, al Riccio che puo' essere quello di San Diego o quello di Santa Monica. La Sardina fritta, accompagnata da una salsa ai porri arriva dal pescato portoghese.

In fondo il raviolo di zucca con il tartufo sembra quasi banale, ma è delizioso. La sottile fettina di carne di Kobe si scioglie in bocca. Il Merluzzo, con una mousse di patate viene affumicato al banco dentro un uovo di ceramica e servito con un'abbondante accompagnamento di Caviale Beluga. Stu-pe-fa-cen-te. Il piccione, proveniente da un allevamento che serve solo Ramirez, è marinato e cotto a bassa temperatura, la carne resta rossa, tenerissima, gustosa.

E così le due ore sono passate, quasi senza accorgersene: una serata speciale. E nel prossimo futuro di Cesar Ramirez un ristorante “a la carte” a Manhattan.

Tutto questo cercarlo ha un motivo ben preciso, bravura a parte: a novembre la Michelin gli ha attribuito non la prima e nemmeno la seconda stella, quelle le aveva già. Terza stella infatti per lui che gestisce un posto lontano anni luce dal concetto di alta cucina francese.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Stefano Vegliani

Giornalista sportivo a Eurosport con 16 Olimpiadi all’attivo (l'ultima, Pyeongchang 2018), ha un’antica passione per il cibo. Assaggiatore di Identità Milano dalla prima edizione

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