25-01-2021

Braschi colpevole di lesa maestà: guai toccare la tradizione

Lo chef del 1978 a Roma, vincitore di un Masterchef, è stato sommerso di critiche per avere proposto le lasagne in un tubetto di dentifricio. Ma non è stato certo il primo a farlo

Valerio Braschi, chef del ristorante 1978 a Roma e vincitore della sesta edizione di Masterchef, ha shockato la sensibilità del web: in alcuni commenti si possono sen-tire dei veri e propri conati di vomito. Lavarsi i denti con le lasagne? Questo il j’accuse dei social: è inaccettabile accostare l’idea di un atto della propria toilette a qualcosa da mangiare. Sembrerebbe proprio questa la strada per capire tutta l’indignazione scatenata. Oppure no?

Braschi un poco ci sta educando alle sue idee originali, al suo stravolgere il mondo già conosciuto per riscriverlo in un’altra anima. Un esempio? Con La mia

Sant’Arcangelo, porta in tavola un tratto di quella maleducazione che proprio non si fa: leccare il piatto, sì proprio leccarlo. Al cliente vengono serviti due piatti, uno su cui è stampata l’immagine del suo borgo natio, la sua Sant’Arcangelo per l’appunto e basta, in pratica un piatto vuoto; l’altro piatto contiene un concentrato di cipolla, peperoni e salsiccia, in pratica la sua terra. A questo punto, il cliente dopo aver osservato la bellezza dell’immagine, dovrà prendere con le mani l’altro piatto e, letteralmente, leccarlo.

Ma cosa vuole comunicare il romagnolo? Vuole portare in tavola quella semplicità che ancora oggi passeggia per le strade che, senza posate, mangia una bella piadina con salsiccia, cipolla e peperoni. Non saranno salsicce, cipolle e peperoni, ma viene in mente subito Davide Oldani e il suo piatto da leccare senza scomodare il mondo di Gaggan Anand tra Bangkok e l’India. Una ispirazione? Di certo è una celebrazione per eternare il gusto in quel gesto che chissà in quanti almeno una volta avremmo voluto fare nel nostro nascosto e immediato istinto.

Valerio Braschi, chef del ristorante 1978 a Roma

Valerio Braschi, chef del ristorante 1978 a Roma

E istinto per la cucina italiana fa rima con tradizione. Ecco l’altra strada per comprendere forse l’indignazione del web: Braschi ha stravolto le lasagne. Lesa maestà. Dov’è finita quella crosticina croccante? Forse nell’interpretazione della lasagna di Massimo Bottura, ma dai commenti e dai numerosi articoli usciti a proposito, in realtà, sembra che a tagliare la tela della gastronomia italiana sia stata proprio la violazione del tabernacolo della tradizione italiana. Eppure lo chef, romano d’adozione, prima di questa versione, ne ha creata un’altra: la Lasagna Lolli pop. Il web in questo caso grida al grande WOW senza scendere in campo armato.

Il mojto di Moreno Cedroni. Foto Brambilla-Serrani

Il mojto di Moreno Cedroni. Foto Brambilla-Serrani

Vedendo da vicino il capo d’accusa a livello di lasagne si tratta di un tubetto che racchiude tutta l’essenza della classica lasagna, accompagnato da uno spazzolino di pasta all’uovo e da un collutorio di brodo di Parmigiano stagionato dai 60 ai 180 mesi. Tutto commestibile. Però la forma, chissà.

Non è il primo a tubettare. Erano gli anni Zero, inizio nuovo secolo. Era al Clandestino Susci Bar: Moreno Cedroni presenta il suo Mojto. In un aperitivo dedicato ai colori, il marchigiano mise in un tubetto una mousse di cocco e menta da servire al tavolo con un kit completato da spazzolino. La risposta?

Moreno Cedroni: Totano e chips con maionese di totano. Foto Bob Noto

Moreno Cedroni: Totano e chips con maionese di totano. Foto Bob Noto

«Alcuni la presero molto bene, altri no», ci racconta Cedroni. Risposta invece più che positiva la riscosse nel 2004 quando al Vinitaly di Verona in occasione della presen-tazione del libro Multipli di venti, mise nel tubetto una maionese di totano da spalmare su una chips.

Braschi è la sua terra, è una idea di cucina che lo porta verso una ricerca che vuo-le rompere con i cliché vuoti di una finta libertà di espressione. A questo punto, forse possiamo giungere alla conclusione che l’indignazione del web sta nel non abbracciare del tutto una certa idea di innovazione: si può continuare a scrivere la tradizione inserendo nuovi elementi o nuove interpretazioni?

Ooops! Mi si è ammuffito il limone, dessert di Terry Giacomello al ristorante Inkiostro a Parma

Ooops! Mi si è ammuffito il limone, dessert di Terry Giacomello al ristorante Inkiostro a Parma

Ferran Adrià lo ha fatto, nel 2003 a El Bulli, e con lui, tanti altri chef hanno rivoluzionato il mondo della cucina. Su questa scia, viene in mente Terry Giacomello a Parma e il suo limone dimenticato ricoperto di muffa: «Per questo piatto ho preso tanti insulti, con quale risultato? Ho venduto 1572 limoni!». Sempre Giacomello, ci spiega come «una certa cucina, fatta sì di tradizione ma anche di elementi e tecniche innovative, non può piacere a tutti, l’importante però è che il giudizio che se ne fa, sia frutto dell’assaggio e non solo per andare contro una idea, quello è un pregiudizio». E questo è un procedere che non amiamo.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Miriam De Vita

Giornalista e sommelier, radici a Napoli e presente a Roma, coltivo la scrittura e l'amore per il vino e il cibo come valori assoluti, perché mi insegnano che ovunque può celarsi il bello e il buono. Gli studi letterari mi hanno lasciato una grande eredità: andare oltre ogni apparenza e questo cerco nell'enogastronomia.

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