13-05-2020

Cosa è successo ai ristoranti in Svezia, Paese che non ha conosciuto lockdown

Locali aperti, lo Stato dà sostanziosi aiuti ma comunque i problemi sono tanti. La clientela si è rarefatta e tanti indirizzi chiuderanno o dovranno cambiare formula

Un'immagine tratta dal servizio di France24 su

Un'immagine tratta dal servizio di France24 sull'"eccezione svedese"

«La situazione è catastrofica. Abbiamo perso tra il 75 e il 90% di introiti da quando il Coronavirus è arrivato in Svezia, all’inizio di marzo. Abbiamo chiuso diversi ristoranti perché non vale la pena tenerli aperti», racconta Jennica Jonsson, direttrice di Stureplansgruppen, un gruppo di ristoranti, hotel, night clubs e bar, che include alcuni tra i posti più frequentati di Stoccolma.

La capitale svedese è stata una delle zone più colpite dal Covid-19 ma, nonostante ciò, la città come il resto del Paese è sempre rimasta aperta e così anche mezzi pubblici, negozi e ristoranti. Per il momento sono 3 mila i morti su una popolazione di circa 10 milioni di cittadini. Il Governo ha vietato assembramenti con più di 50 persone e ha raccomandato di lavorare da casa, di tenere la distanza di due metri e di evitare contatti con persone anziane. «L’immagine che gli svedesi vivono come se niente fosse è sbagliata. La maggior parte delle persone rimane a casa e il settore dell’ospitalità è in grandissima difficoltà», racconta Carl-Johan Swanson, capo della comunicazione di Visita, l’organizzazione che raggruppa le imprese del settore.

Carl-Johan Swanson, capo della comunicazione di Visita

Carl-Johan Swanson, capo della comunicazione di Visita

Carl-Johan inizia a elencare dati statistici. «Il settore ospitalità occupa 200mila lavoratori in Svezia. Oggi in 16.500 hanno avuto un avvertimento di licenziamento, 13.500 che lavorano a chiamata rimangono a casa e abbiamo altre 35mila persone in cassa d’integrazione. I fallimenti sono aumentati del 163% nel mese di aprile in confronto al 2019».

«Lo Stato svedese ha emanato diversi decreti di aiuto rivolti a tutta la società ma non in modo particolare al settore dell’ospitalità», racconta Linda Nöremark, dall’ufficio del Governo. Per esempio, è possibile mettere il personale in cassa integrazione fino al 80% del tempo per un breve periodo, e lo Stato paga il 50% dell’affitto dei locali per un tempo determinato. «In questo momento l'esecutivo deve decidere se aiutarci con altri costi fissi, ancora non lo sappiamo, ma sarebbe fondamentale per sopravvivere», commenta Jennica Jonsson.

Per Bengtsson è il proprietario e leader creativo del ristorante PM & Vänner, con due stelle nella guida Michelin, che è anche hotel, bar e panificio, nella piccola città di Växjö nel centro della Svezia. Ci spiega: «Abbiamo il personale in cassa integrazione e lavoriamo solo al 30%, ma tutti i reparti rimangono aperti. Cosi faccio un po’ di tutto per coprire i turni: consegno il take away e lavoro come portiere di notte tre volte alla settimana». Nonostante la situazione difficile - l’hotel ha perso il 90% del fatturato mentre nel ristorante l’incasso è sceso del 40% - Per è comunque grato di poter rimanere aperto. «Ho potuto mantenere tutta la mia squadra e non dovrò ricominciare da capo come avrei dovuto fare dopo una chiusura totale. Siamo come un team di serie A: se ti alleni meno o cambi un giocatore, le prestazioni soffriranno sicuramente. Ho il massimo rispetto per i miei colleghi all’estero», dice quasi commosso.

The Michelin Trail di PM & Vänner e Daniel Berlin

The Michelin Trail di PM & Vänner e Daniel Berlin

PM & Vänner e un altro stellato, Daniel Berlin (prende il nome dal suo chef-patron, che è stato anche relatore a Identità Golose. Ha due stelle Michelin e si trova a Tomelilla, 200 km più al Sud, nella campagna della Scania), hanno deciso di collaborare creando un percorso tra i due locali chiamato The Michelin Trail. Propongono ai propri ospiti di assaggiare i loro menu degustazione; due esperienze diverse al prezzo di una. «Lo avevamo pianificato per un turismo internazionale che è rimasto a casa, ma invece abbiamo ricevuto tante prenotazione dalla Svezia», dice Bengtsson che aggiunge: «Né io né Daniel abbiamo degli investitori che ci coprono le spalle. Insieme cercheremo di uscire a testa alta da questa crisi».

Degustazioni al The Winery Hotel

Degustazioni al The Winery Hotel

I primi del settore ad essere colpiti in Svezia sono stati gli hotel e le strutture che lavorano col mondo degli affari organizzando riunioni e conferenze. «Abbiamo perso il 75% degli incassi nel mese di aprile. Oggi siamo 24 persone che lavorano a tempo pieno invece delle 73 di inizio marzo» spiega Claes Anerud, direttore di The Winery Hotel, appena fuori da Stoccolma. Racconta che la maggior parte delle catene degli hotel in Svezia reggeranno fino a settembre, ma poi la situazione dovrà cambiare. «Al The Winery Hotel abbiamo modificato rapidamente la strategia. Abbiamo snellito l’organizzazione e ora puntiamo tutto sul leisure invece che sul segmento business. La tendenza c’era già e il Coronavirus ha velocizzato tutto». Secondo Claes gli hotel dovranno sempre più diventare una destinazione a sé stante, con una identità molto chiaro vista, che il segmento business è in calo da tempo.

Anna Norström

Anna Norström

Anna Norström, giornalista enogastronomica svedese, racconta che i ristoranti senza un profilo distinto faranno fatica, «se prima lavoravi solo perché eri vicino ad un teatro o a degli uffici, ora sei fuori. Invece chi ha un'identità ben definita o investitori importanti, come tanti dei ristoranti stellati, ce la faranno». Lo conferma anche Jonas Mattsson dall’azienda Caspeco, leader in Svezia di soluzioni di software per ristoranti con un giro di affari intorno 1,5-2 milioni di euro all’anno. Racconta che il 20% dei clienti ha deciso di chiudere almeno per un periodo, perché non vale la pena tenere aperto. «Il 70% dei nostri clienti è in difficoltà. Quelli dove la situazione è peggiore sono gli sportsbar e le discoteche, che per ovvi motivi non hanno più clienti. Inoltre chi ha tanti prestiti e costi fissi alti è davvero in una situazione pessima», dice.

Il take away è aumentato ma non copre gli incassi persi. È più un modo per tenersi in contatto con i propri clienti. «È come mettere un cerotto su un braccio amputato», secondo Anna Norström.

Invece c’è chi ritiene che le cose continueranno più o meno come prima. Per esempio, nella piccola città di Falkenberg, litorale al Sud di Göteborg, Besmir Balaj e Ville Illola gestiscono la pizzera Lilla Napoli, secondo molti la migliore pizzeria in Svezia (i due giovani proprietari hanno studiato e vissuto a Napoli). «Siamo sempre pieni e nella nostra città sembra che il Coronavirus non esista. Non so se la gente crede nel destino o da cosa dipenda», racconta Ville.

Dice che non hanno dovuto licenziare o mettere in cassa integrazione nessuno. Il cambiamento più grande è il fatto che entrano meno persone alla volta, visto che i tavoli devono stare a due metri di distanza. «Spieghiamo agli ospiti che dobbiamo fare più turni e cosi li facciamo alzare appena hanno finito di mangiare. Ancora: prima non facevamo take away, la pizza va mangiata subito. Ora l'abbiamo attivato, non avevamo scelta visto che in questo momento abbiamo meno tavoli.

A ristoratori e camerieri non è richiesto di indossare mascherine o guanti di protezione; tutti coloro coi quali abbiamo parlato ne sono felici, perché a loro parere sarebbe stato difficile creare un’esperienza piacevole al cliente, dovendoli usare.

«Credo che lo Stato sia stato molto vago e che ha scaricato tanta responsabilità sui ristoratori, che fanno di tutto per sopravvivere. Devono far da guardie per controllare che tutte le regole vengono rispettate, mentre il Governo non controlla chi fa picnic nei parchi o quando ci sono code al supermercato», dice Anna Norström. Per il momento la commissione di controllo ha fatto chiudere una decina di ristoranti a Stoccolma che non hanno rispettato le regole di distanziamento.

Eataly Stoccolma è sempre rimasta aperta, ma solo un piano su due, mantenendo attivo anche un ristorante con posti all’esterno. «L'offerta di prodotti italiani funziona sempre bene e i corsi di cucina e di degustazione continuano, anche se per solo 10 persone alla volta invece delle 15 di prima», racconta Giulia Mangili, responsabile dell’accoglienza. Secondo lei gli svedesi sembrano poco preoccupati: «In metropolitana le persone si mettono vicine, ma sicuramente ci sono meno anziani e persone che escono», racconta.

Anna Norström pensa che la ristorazione svedese dopo il Coronavirus sarà molto diversa da come era prima: «Sarà meno fine dining e più casual. La gente avrà meno soldi e tanti piccoli artigiani che vendevano i loro prodotti a questo settore non sopravvivranno. Vedremo più cene private e più chef che vengono a casa per cucinare. Credo anche in nuove soluzioni intelligenti per il catering e opzioni creative per poter stare all’aperto».

Per Bengtsson

Per Bengtsson

Conclude Per Bengtsson di PM & Vänner: «Credo che, come dopo ogni crisi, le persone vorranno stare insieme a ricevere tanto amore. Cosi i ristoranti sperimentali e di avanguardia, se non sono davvero fantastici, si troveranno in difficoltà. Ma ci sarà sempre chi vorrà mangiare in un indirizzo di alto livello che ha tanta cura dei propri ospiti».


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Åsa Johansson

classe 1978, di Stoccolma, arriva in Toscana nel 2001 per laurearsi in Scienze Politiche. Scrive su vino, cibo e viaggi per testate svedesi e norvegesi. Produce olio di oliva in Toscana e ha iniziato il primo podcast sul vino Italiano in Svezia, italienpodden.se Quando non è in viaggio, di fronte al computer o a potare ulivi, scappa al mare con la tavola da surf

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