09-03-2019

Mind en place: quando la cucina è un’orchestra. O un pane perfetto

Organizzazione, comunicazione, equilibrio: quali sono gli elementi cruciali per il fattore umano di un ristorante?

L'anno scorso, alla vigilia della XIV edizione

L'anno scorso, alla vigilia della XIV edizione del Congresso Identità Golose, avevamo ospitato un intervento dello psicologo e cuoco Antonio Labriola, che aveva preso spunto dal tema del "fattore umano" per parlarci di un concetto: "mind en place". Un anno dopo, con il fattore umano ancora al centro della tre giorni milanese, e il pane di Niko Romito come piatto simbolo, Labriola torna a raccontarci la sua visione. Tutte le illustrazioni sono dello stesso autore

Possiamo definire la cucina come un sistema, con una sua struttura più o meno semplice in base al numero di membri che la compongono e alle mansioni da eseguire. Il sistema “cucina” di cui parliamo avrà in primo luogo un confine che nella realtà già esiste e si chiama pass (il confine immaginario in cui interagiscono sala e cucina), la situazione perciò diventa già più complessa in quanto oltre ad una comunicazione interna dello staff cucina ci sarà un’interazione tra sala e cucina.

La comunicazione quindi deve essere uno strumento fondamentale da utilizzare, osservare e gestire per far sì che una struttura funzioni al meglio. Comunicare? Cosa ci sarà di così complesso, lo si fa ogni istante della nostra vita. Bene, spesso non è così semplice.

Innanzitutto per comunicare bisogna parlare tutti la stessa lingua, e ciò non significa appunto solo “parlare tutti la stessa lingua”, ma far sì che tutti comprendano lo stesso linguaggio. In una cucina ci sono termini ben precisi, ordini, comande scritte e verbalizzate con un linguaggio che dovrebbe essere compreso dagli addetti del settore o quantomeno da tutto lo staff operativo della struttura ristorativa, purtroppo non è sempre così.

Ma se un sistema presenta un elemento che non condivide il bagaglio conoscitivo degli altri elementi cosa può accadere? Il sistema presenta una criticità, ad esempio quando uno chef batte una comanda, tutti dovrebbero sapere cosa fare, ma se un membro dello staff non ha compreso l’ordine potrebbe avere delle difficoltà, causando un rallentamento e una conseguente inefficienza del meccanismo. 

Mi piace immaginare una brigata come una piccola orchestra in cui tutti sono a conoscenza dello spartito e vengono guidati da un direttore, in questo caso uno chef, che fa sì che tutti rendano al meglio così da suonare una sinfonia meravigliosa. Il compito del direttore è saper guidare, sapendo quando intervenire e quando attendere. Dovrà saper comunicare attraverso i suoi gesti ciò che vuole che venga fatto dai membri dell’orchestra.

Per un osservatore esterno vedere un direttore d’orchestra muovere la sua bacchetta sembra un gesto semplice, ma dietro si nascondono una serie di messaggi che solo chi condivide quel preciso linguaggio è in grado di cogliere. Un’orchestra presa nei suoi singoli elementi è una serie di professionisti bravissimi nel suonare il proprio strumento e la propria partituta, ma, da soli, non potranno mai rendere il brano completo come quando viene suonato dall’intera orchestra. Nello stesso modo l’orchestra senza alcuni membri sarà carente di quel quid che la rende completa.

Antonio Labriola

Antonio Labriola

Lo stesso vale per la cucina, riportando le parole dello chef Emmanuel Renaut: «È importante il lavoro individuale ma è fondamentale il lavoro di squadra». Per far sì che un servizio funzioni c’è bisogno del lavoro individuale che si amalgami al lavoro degli altri per creare un “composto” funzionante. Ciò avviene soltanto se il gruppo è ben strutturato, se condivide lo stesso linguaggio, se la tipologia di leadership è adatta al tipo di gruppo e molto altro. 

Per creare un’altra metafora, un gruppo di cucina può essere accostato al pane, se gli ingredienti non sono ben dosati, distribuiti ed amalgamati, se non verranno tenuti sotto controllo anche i tempi e la temperatura, fondamentali per una giusta lievitazione e successiva cottura, il risultato non sarà mai ottimo e si avranno dei problemi. Infatti una sbagliata temperatura può far sì che un pane non lieviti rendendo il lavoro fatto in precedenza del tutto vano.

Anche per un gruppo la “temperatura emotiva” è fondamentale perché tale sfera gioca un ruolo fondamentale sulle relazioni interpersonali e sulla resa di ogni singolo individuo. Risulta evidente come l’equilibrio del tutto è fondamentale per far sì che un gruppo funzioni. Ma allora quali possono essere i punti che fanno grande una struttura ristorativa?

Innanzitutto l’organizzazione, la tipologia di leadership adottata, la comunicazione, l’interazione tra i vari settori (sala e cucina), le emozioni, lo stress, la conoscenza e lo studio. Questi sono tutti concetti legati al fattore umano, al quale andrebbero aggiunti tutti i concetti legati al “fattore materiale”, come attrezzature, luoghi di lavoro…

Dunque la cucina osservata con gli occhi di uno psicologo è un terreno di studio vastissimo e interessantissimo, capace di offrire interessanti spunti di ricerca, perché per quanto la tecnologia viaggi veloce, alla fine sarà sempre il fattore umano a fare la differenza.


IG2019: costruire nuove memorie

a cura di

Antonio Labriola

Classe 1986, lucano d’origine ma torinese d’adozione. Psicologo, cuoco e consulente nella ristorazione, perciò si definisce “uno psicologo con la testa in cucina”. Docente e formatore in diverse scuole di cucina. Collaboratore del gruppo Brollomisto. Convinto che ci vuole testa in tutto ciò che si fa

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