«Sono emozionatissimo, di strada ne abbiamo fatta davvero tanta», balbetta Roberto Ghisolfi, uno che a Vighizzolo d’Este è ormai di casa (come Renato Bosco, Carmine Nasti, Simone Padoan, Enrica Causa, i fratelli Pasinelli…). La strada in questione è quella attraverso i territori inesplorati della “nuova pizza italiana”, così l’ha definita Enzo Vizzari nel suo intervento alla terza e conclusiva giornata di PizzaUp 2015.
Territori, dunque, «ma tale concetto rischia di diventare un cliché», sottolinea Federico de Cesare Viola nel duettare con Eleonora Cozzella mentre Piergiorgio Parini stupisce la platea del simposio (lo vedremo). Allora meglio il termine francese terroir, «perché ha un senso ben più largo, peraltro intraducibile». Ingloba infatti storia, eredità culturale, conoscenza: ossia savoir faire, o know how che dir si voglia. La parola “territorio” – questo il tema del giorno a PizzaUp, dopo “nutrizione” ed “energia” - è invece abusata, viene spesso associata a un’identità che non è inclusiva, respinge ciò che non fa parte della comunità. Il diverso, in sostanza: ma ci può essere crescita senza confronto?

Piergiorgio Parini sul palco incalzato da Eleonora Cozzella sotto lo sguardo attento di Federico de Cesare Viola
Sono concetti cari a
Corrado Assenza, che segue i lavori con sguardo attento: «Siamo animali culturali, esiste un lembo di territorio che è immateriale. Si chiama proprio cultura». Spinge al progresso: il “lievito della conoscenza”,
come abbiamo titolato ieri. Per questo il maestro di Noto preferisce alla retorica del km 0 il fascino (non solo culinario: anzi, sociale e antropologico proprio perché culinario) del km buono: «Il territorio culturale siciliano è il mondo, siamo sempre stati al centro di commerci millenari tra Est e Ovest». Macché barriere, lo scambio è nella nostra natura.
Tutta la discussione nasce da una “tradizione rinnovata”, fecondo ossimoro. Sta nello slittamento semantico del termine pizza: da disco tondo d’impasto vagamente gommoso, condito con pomodoro e altro, a qualcosa di diverso. La nuova pizza italiana, appunto: una rivoluzione che ha in PizzaUp il suo momento anche celebrativo. E la tradizione che fine fa? «Non esiste», spiegherebbe Andrea Ribaldone, se ci fosse. Piero Gabrieli c’è – sfido: è casa sua - ed è più diplomatico: «Difendo la parola “pizza”, purché sia condivisa», tra il vecchio e il nuovo, semplifichiamo noi. C’è anche Dario Bressanini, che certifica: «Non è la prima volta che, mantenendo il nome, un piatto cambia la propria identità: penso alla polenta (gli antichi romani la facevano col miglio) o al biancomangiare (oggi è un dolce, ai tempi una ricetta a base di pollo, mandorle e brodo). Ma non ricordo, nella storia, che un processo del genere sia avvenuto in modo pianificato».

La squisita pizza con salsa di barbabietola, kiwi, bufala e trito di timo, maggiorana, basilico
Serve dunque uno sforzo di approfondimento, per sapere che direzione si è intrapresa: è ciò che
Chiara Quaglia chiede ai congressisti. Andare oltre alle Colonne d’Ercole.
Parini lo fa sempre: «Ogni giorno per me è diverso: cambio io, sono differenti i prodotti che uso, nuovi i piatti che preparo». Ecco, la sua declinazione del territorio è dunque felicemente inattesa: nulla di statico, una continua «ricerca, ricerca, ricerca», come dice la
Cozzella. Lo chef presenta ai pizzaioli gli ingredienti che ha pensato per loro, come topping del disco lievitato: «Sono tutti prodotti del mio territorio». Ossia: kiwi, cachi, pigne di cipresso, formaggio di fossa, peperoncino e cavolo nero. Sorpresa: perché «il cachi o il cipresso sulla pizza?!?». E ancor più viene da chiedersi: ma da dove viene
Parini? Dalla Romagna: secondo produttore mondiale di kiwi, tanto per gradire.
Ma è un frutto d’origine asiatica, come il caco; il cipresso che lo chef utilizza è americano, come il peperoncino; il formaggio di fossa un pecorino, «ma gli ovini vennero portati dalle mie parti solo dai pastori sardi, nel Dopoguerra». Quanto al cavolo nero, beh: sarà forse autoctono, ma fa tanto Toscana. E allora cos’è questo territorio balzano? Il sovrapporsi di molte sementi/influenze diverse. Una stratificazione fertile. Un’identità, ok, purché cangiante. Una radice che non si sviluppa è già morta.

Nella foto si riconoscono, da sinistra, Eleonora Cozzella, Piero Gabrieli, Enzo Vizzari, Piergiorgio Parini e Chiara Quaglia
Serve un processo dinamico com’è il mondo della pizza.
Parini lo provoca: «Un kiwi cotto con la buccia in forno ventilato a 130° per 30/40 minuti sembra un pomodoro verde confit. Concentra l’acidità e la mineralità, perdendo il liquido». Insomma usatelo, esorta lui (la prova darà esito felice: la pizza forse migliore di PizzaUp 2015 prevede salsa di barbabietola, kiwi, bufala e trito di timo, maggiorana, basilico).
Piace a tutti, come questo territorio consapevole, e quindi mutante quanto la realtà. La consapevolezza è il grande dono di PizzaUp. Eleonora Cozzella: «Se la vostra qualità facesse rete, coi numeri che hanno le pizzerie, ben superiori a quelli dei ristoranti d’alta cucina, potreste diventare i migliori ambasciatori del patrimonio agroalimentare del Paese». Visione illuminata e/o ben informata, perché a termine dei lavori Gabrieli conferma difatti: «Abbiamo scelto in tale ordine i tre temi di quest’anno (dicevamo: nutrizione, energia, territorio) perché insieme formano l’acronimo “net”». Rete, appunto: «La prossima edizione vedrà i cuochi sempre più presenti. E da domani metteremo tutti voi in rete, in modo da comunicarvi e comunicare all’esterno le tecniche, i prodotti, i risultati. Non sarà un circolo autoreferenziale, ma diventerà polo d’attrazione». Migrino pure altri frutti. Sempre più avanti.