22-07-2018

E' scomparso Jonathan Gold. Ha portato la critica gastronomica a vincere il Pulitzer

Jonathan Gold in un ritratto di PunkToad da Oaklan

Jonathan Gold in un ritratto di PunkToad da Oakland. Massimo critico americano, era nato il 28 luglio 1960 a Los Angeles, città dove è morto nella notte del 21 luglio all'età di 57 anni. Fatale un cancro al pancreas

Si è spento nella notte del 21 luglio a Los Angeles Jonathan Gold. Nato nella stessa Città degli Angeli nel 1960, il 28 luglio avrebbe compiuto 58 anni. A ucciderlo, un tumore al pancreas. Massimo critico gastronomico d’America, è stato il primo critico gastronomico a vincere il Premio Pulitzer per la critica, quella assoluta si badi bene. Era il 2007 quando scriveva per il LA Weekly. La motivazione non lascia dubbi sul valore della scelta: «For his zestful, wide ranging restaurant reviews, expressing the delight of an erudite eater», in italiano «per le sue entusiasmanti e ampie recensioni di ristoranti, che esprimono la gioia di un mangiatore erudito».

Ricordo che due o tre anni fa, attovagliato a un evento non ricordo dove, una giornalista americana chiese a chi pranzava con lei spunti perché di lì a un paio di settimane sarebbe andata a Napoli. Forse senza troppa originalità, le suggerii di raggiungere Franco Pepe a Caiazzo in provincia di Caserta. Rise: «Ne ha scritto Gold, da noi nessuno può scriverne più». Per due motivi: se lo elogiavi avevi scoperto l’acqua calda, se lo criticavi passavi per incompetente. Meglio lasciar stare.

Jonathan Gold vinse nel 2007 il premio Pulitzer per la critica, oscar del giornalismo americano festeggiato con un'incredibile calice di champagne. Foto Kevork Djansezian/Associated Press

Jonathan Gold vinse nel 2007 il premio Pulitzer per la critica, oscar del giornalismo americano festeggiato con un'incredibile calice di champagne. Foto Kevork Djansezian/Associated Press

Il titolo di quel servizio del giugno 2014 per Food&Wine, ha letteralmente consacrato Pepe numero uno: This Might be the Greatest Pizza in the World ovvero «Questa potrebbe essere la miglior pizza al mondo». E quel “potrebbe essere” era usato per non essere tacciato di arroganza definendola la migliore al mondo dopo avere presentato il caiatino come the modern-day oracle of pizza, l’oracolo della pizza ai giorni nostri.

Attraverso le cucine che profumano Los Angeles, aveva presto iniziato a raccontare questa megalopoli e a farla conoscere ai suoi stessi abitanti, lui nato 58 anni fa meno una settimana a South Los Angeles. Come ha ricordato Pete Wells nel New York Times «Mr. Gold chronicled his city’s pupuserias, bistros, diners, nomadic taco trucks, soot-caked outdoor rib and brisket smokers, sweaty indoor xiao long bao steamers, postmodern pizzerias, vintage delicatessens, strictly omakase sushi-yas, Roman gelaterias, Korean porridge parlors, Lanzhou hand-pulled noodle vendors, Iranian tongue-sandwich shops, vegan hot dog griddles, cloistered French-leaning hyper-seasonal tasting counters and wood-paneled Hollywood grills with chicken potpie and martinis on every other table».

E a differenza di tanti suoi colleghi, non ha mai pensato che quelli che facilmente definiamo ristoranti stellati, costosissimi e inaccessibili ai più, siano al vertice della piramide della qualità. Tanto che si trovava a suo agio soprattutto nei piccoli locali a conduzione famigliare, nei quali la lista dei vini non esisteva e l’inglese era la massimo la seconda lingua, sempre che fosse parlata allo meno

Jonathan Gold in uno scatto di Shelby Duncan

Jonathan Gold in uno scatto di Shelby Duncan

peggio dai titolari. Però prenotava anche al Noma di René Redzepi e all’Alinea di Grant Achatz. Ma erano eccezioni. Ha detto Ruth Reichl di Gold: «Aveva perfettamente capito che il cibo era la porta migliore per entrare nelle persone e che davvero il cibo poteva definire i tratti di una comunità. Lui scriveva più sulla gente che sul cibo». E Jonathan stesso, di se stesso una volta disse di scrivere «per tentare di rendere la gente meno impaurita dei loro vicini di casa», vicini che lui contribuiva a far conoscere attravertso i loro usi e costumi a tavola.

Di lui hanno scritto che «non vedeva differenza alcuna tra il ristoratore più famoso e il cuoco più oscuro», trattava tutti allo stesso modo. un formidabile complimento. Franco Pepe se lo ricorda per diversi giorni a tavola da lui, sempre taciturno, sempre a prendere appunti, ben poco empatico. Ma al critico non viene chiesto di essere simpatico. Anzi, esserlo è quasi la negazione del suo compito.

 


News

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
instagram instagram.com/oloapmarchi