25-04-2022

Speciale Identità di Pasta 2022: in giro per il mondo con semola e farina

La giornata dedicata alla regina del nostro Paese ci ha fatto scoprire che è protagonista ovunque, in un melting-pot di culture. Le lezioni di Perdomo-Consiglio, Casadei Massari, Leemann-Ricci, Liu-Paolucci-Cuibing, Rosval-Mahmoudi, Bowerman e Tomei

Le mani di Zouhaira Mahmoudi mentre prepara il co

Le mani di Zouhaira Mahmoudi mentre prepara il cous-cous, sul palco di Identità di Pasta assieme alla sua mentore Jessica Rosval. Tutte le foto sono a cura di Brambilla/Serrani

Sabato, 23 aprile. Ultimo giorno di Identità Milano 2022, ma com’è che si dice? Il meglio deve ancora venire. E mentre in Auditorium imperversano gli interventi firmati Riccardo Camanini, Massimo Bottura, Enrico Bartolini e molti altri ancora, anche in sala Blu 1 non ci siamo fatti mancare nulla. In collaborazione con Pastificio Monograno Felicetti, sette lezioni dedicate al mondo della pasta.

Paste diverse, in giro per il mondo calate in un melting-pot tra culture che crea ricchezza e inclusione. La pasta mette tutti d’accordo, tutti...tranne gli italiani: basta una piccola variazione sul tema ed ecco che ti si rivoltano le nonne. Ma il futuro è oggi e noi, proprio oggi, abbiamo bisogno anche dei nipoti, cuochi disposti a mettersi in gioco con un prodotto comune, mai mai scontato. A briglie sciolte, ciascuno con il proprio stile. Modera gli interventi, Eleonora Cozzella.

Al di là della pasta - ARIANNA CONSIGLIO e MATIAS PERDOMO

«La pasta unifica il mondo», dice bene Matias Perdomo, chef del ristorante Contraste, e di tutta la rete dei poli di gusto milanesi che portano la sua firma, EXIT Pastificio urbano compreso, dove a saltare, buttare, scolare, sfogliare, mantecare paste (…) è Arianna Consiglio, siciliana e responsabile dell’insegna a-tutta-pasta.

Arianna Consiglio e Matias Perdomo

Arianna Consiglio e Matias Perdomo

Una storia, quella dell’ingrediente più amato dalle nostre tavole, che transita nei porti delle città marinare, sponde fertili delle contaminazioni attuali. Ragion per cui, il mondo della pasta non può essere racchiuso in un’unica definizione o concezione, ma spazia, viaggia e assorbe culture, nutrimento per la nostra memoria. Ecco perché le ricette presentate in questa edizione Identità di Pasta sono due, e ben diverse: la prima –new entry nel menu del Pastificio -, un raviolo di pasta all’uovo con striature agli spinaci, ripieno di ricotta di pecora, saltato con burro e salvia, e in chiusura polvere di caffè. Un mordente tenace, e poi spuma: è tradizione, è comfort, ma è anche un twist, che dalla cucina delle nonne, ci porta a quella dei loro nipoti.

Ravioli striati agli spinaci ripieni di ricotta di pecora, saltati con burro e salvia

Ravioli striati agli spinaci ripieni di ricotta di pecora, saltati con burro e salvia

La seconda, invece, è una Fideuà, una preparazione molto simile alla paella ma che, invece del riso, utilizza i fideos, gli spaghettini spezzati che, a seconda del caso, possono essere più (gordi) o meno fini, forati o senza buco: un piatto che, stando a quanto si narra, nascerebbe a bordo della barca di un marinaio che, accortosi dell’assenza di riso, prepara la paella con una manciata di spaghetti spezzati. Non sorprende allora che, sul nascere delle corporazioni pastaie a fine Medioevo, a Genova, i fidelari erano i produttori di pasta, da fidua, capellini. E tutto torna.

La Fideuà di Matias Perdomo, una paella realizzata con spaghetti spezzati, i fideos

La Fideuà di Matias Perdomo, una paella realizzata con spaghetti spezzati, i fideos

I fideos, quindi, tostano in un soffritto di cipolla, peperone, aglio e cipolla, e ne assorbono gli umori; si aggiunge poi un ricco brodo di pesce. Negli 8-10 minuti che seguono, sono dolci e rari i movimenti, piccoli sussulti affinchè venga a crearsi un’umamissima crosticina – il socarrat -mentre il brodo viene assorbito: difficoltà? Non bruciare i fideos! Questo è il Pastificio urbano: il Nord, il Sud e il Centro della pasta, e chissà, presto si viaggerà anche oltre confine.

 

 

Pinguino e Tulipano: uno non vede, l'altro non sente - MICHELE CASADEI MASSARI

Partiamo per l’America con chef Michele Casadei Massari. Nato a Rimini, cresciuto a Bologna, dal 2009 fa base a New York e cucina la pasta nel suo ristorante Lucciola, «nessun riferimento alle donne, sia chiaro. Lucciola perché amo quest’animaletto che cerca la luce, senza contare che è anche il titolo dell’ultimo scritto pasoliniano. La lucciola ha a che fare con la chiarezza, senza alcuna saccenza, desideravo mettere in luce le cose in cui credo. Far vedere l’Italia in America e l’America in Italia».

Il Macaroni and Cheese di Casadei Massari

Il Macaroni and Cheese di Casadei Massari

La lezione si chiama Pinguino e Tulipano, «uno non sente, l’altro non vede, ma entrambi si orientano con la luce, il calore l’istinto». Chef Casadei Massari parte a gamba tesa ragionando di cucina italo-americana, di tutto ciò che si è trasformato nel passaggio di alcuni piatti oltreoceano. Non per caso, ci regala un Macaroni and cheese che somiglia poco al pasticcio di pasta e formaggio (giallo!) a cui siamo abituati. Piuttosto, è un riassunto di prodotti italiani che piacciono molto allo chef. Vari formati di pasta, con la precisazione che sarà il piatto del ricongiungimento, è una ricetta sulla quale hanno tutti ragione: cottura (non al dente) compresa. «Se fai un mac and cheese, sulla cottura sorvoli e ti concentri sull’esperienza, sull’incontro di più culture».

Nella lista della spesa, pasta di farro Felicetti in più formati e teglia in alluminio per una veloce cottura in forno, perchè «anche i materiali diventano ingredienti fondamentali». In giro, annusiamo della noce moscata ed è quella della besciamelle. Croste di Parmigiano polverizzate ed il gioco è fatto. Quanto al procedimento, lo chef non mescola, ma stratifica, tipo lasagne e tutto ci appare come una sorta di purificazione. Casadei Massari disciplina un piatto che disciplinato non è, omaggiando il Parmigiano scelto in più stagionature per giocare con il morso e le sensazioni al palato. Aceto balsamico in chiusura.

Colpa di Alfredo

Colpa di Alfredo

Seconda ricetta, Colpa di Alfredo. Le mitologiche Fettuccine Alfredo qui diventano quasi un dessert, con lo spaghetto Felicetti Matt che incontra la pera. E la grappa nebulizzata alla fine, quasi a voler anticipare i sapori successivi. Ammettiamolo, se voleva stupirci con effetti speciali, ce l’ha fatta.

 

 

Kum! Spätzli alla valtellinese, breve storia della cucina che unisce i mondi - PIETRO LEEMANN e SAURO RICCI

Identità di Pasta prosegue con Pietro Leemann e Sauro Ricci. Una maniera comune di intendere la la vita e la cucina. Il primo nasce a Minusio, nel distretto di Locarno, lo definisce il suo primo laboratorio, «i miei ingredienti praticamente erano già tutti lì». Quindi, una sorta di auto-apprendimento del mondo della cucina osservando la natura che lo circondava. A Milano, la città che lo ha adottato, nel suo Joia propone una cucina vegetariana, tendendo sempre più verso il vegan. In Europa, è il primo ristorante vegetariano premiato dalla Guida Michelin.

Sul palco, lo accompagna Sauro Ricci, la sua parte esecutiva. Chef e alle spalle studi di antropologia, rapito dalle filosofie orientali e votato alla macrobiotica. Obiettivo, la ricerca dell’equilibrio tra il mondo esterno e il proprio io. Con la prova che nella cucina vegetariana, sicuramente non in quella di Leemann, non esistono momenti punitivi e di rinuncia, ma pura gioia.

Spätzle alla curcuma con salsa al bitto e polvere di cavolo nero e rosso, zucca

Spätzle alla curcuma con salsa al bitto e polvere di cavolo nero e rosso, zucca

Il tema dell’intervento è Kum, che in ebraico significa “alzati”. È un incipit, nonché un piatto del Joia. Equivale ad elevarsi spiritualmente. Gli chef scelgono una pasta che cavalca il nord Italia, lo scavalca e arriva in Svizzera fino all'Austria: sono gli Spätzle. Gialli, anche se impastati senza uova, ma c’è la curcuma «e il colore è un potente veicolo di gusto», aggiunge Ricci. Conditi con la verza ed un formaggio storico, il bitto, lo storico ribelle. Attualmente, in Italia, sono circa una dozzina i produttori di bitto, con stagionature spinte anche fino a 15, 18 anni. Recuperarlo e utilizzarlo rientra nella mentalità Leemann. Dunque, spätzle bolliti e arrostiti fino a diventare croccanti, per rispondere alla stanca accusa rivolta alla cucina vegetariana, ovvero di peccare in fatto di consistenze. E di colori. Chef Ricci termina il piatto con polveri di cavolo nero e rosso, di zucca, infine poche gocce di olio di aglio orsino. «Un lungo affascinante viaggio che prende forma nel coraggio di trasformarci». Questo il messaggio dei due chef che pensano e si muovono all’unisono. In sala, assaggiamo un piatto colorato, divertente c’è tutto il godimento di una cucina vegetale e nessun sentimento di rinuncia.

 

 

Il Futuro della tradizione: i Lamian all'astice di Gong Oriental Attitude - GIULIA LIU, GUGLIELMO PAOLUCCI e ZUO CUIBING

Continua il viaggio ed è il turno di Giulia Liu, Guglielmo Paolucci e Zuo Cuibing, del ristorante Gong di Milano. La prima è il patron del ristorante, «sono nata in Cina, ma cresciuta in Italia. Conosco le due culture e volevo che Gong fondesse l’eleganza e la raffinatezza italiana con il senso di ospitalità tipicamente asiatico».

Sul palco di Identità di pasta - da sinistra - la moderatrice Eleonora Cozzella, Giulia Liu, Zuo Cuibing - mentre prepara i lamian - e Guglielmo Paolucci, del ristorante Gong

Sul palco di Identità di pasta - da sinistra - la moderatrice Eleonora CozzellaGiulia LiuZuo Cuibing - mentre prepara i lamian - e Guglielmo Paolucci, del ristorante Gong

Guglielmo Paolucci, chef romano approdato a Milano per mettersi in gioco con un grande lavoro personale sul gusto. Rivedere le certezze di sempre, per capire cosa e come lo fanno gli asiatici. «Non ci interessa proporre una cucina scontata; ogni giorno facciamo ricerca e innovazione». Zuo Cuibing è il maestro di lamian, i lunghissimi noodles cinesi che, lo scopriamo insieme a lui, sono il frutto di una tecnica allucinante. Manualità ipnotica. Tempo, pazienza e amore.

Spiega Giulia: «Abbiamo scelto un piatto popolare, inserendo però l’elemento pregiato, l’astice. Lo facciamo per andare incontro alle aspettative italiane, è la filosofia di Gong». L’assaggio è una scoperta, guardiamo un piatto che sembra di casa nostra: spaghetti con l’astice. Ma invece della sapidità, troviamo la dolcezza e tutta la tecnica asiatica al servizio dell’intensità dei sapori. Una maniera internazionale di vivere i lamian e, in generale, la cucina cinese.

 

 

Roots: partire da un seme - JESSICA ROSVAL e ZOUHAIRA MAHMOUDI

Lasciamo la Cina, ma non l’internazionalità. Salgono sul palco Jessica Rosval, canadese, chef di Casa Maria Luigia  (guest house firmata Massimo Bottura) e Zouhaira Mahmoudi, tunisina. Anche lei vive in Italia e, da marzo 2020, è parte attiva del progetto Roots, un coworking al servizio delle donne immigrate, spesso madri single, e che a Modena trovano non solo accoglienza, ma la possibilità di sviluppare una professionalità.

In fondo Jessica Rosval, chef di Casa Maria Luigia, a Modena, e Zouhaira Mahmoudi del ristorante Roots, a Modena

In fondo Jessica Rosval, chef di Casa Maria Luigia, a Modena, e Zouhaira Mahmoudi del ristorante Roots, a Modena

Unione di culture diverse per un reale dialogo a tavola. Le ascoltiamo ed ecco che cadono tutte le barriere invisibili che ci separano. Roots è uno spazio che celebra tutte le etnie, il veicolo è il cibo. E, come recita il tema dell’intervento, tutto parte da un seme, come sacro simbolo di vita, opportunità, rinnovamento. Il seme che genera il grano, quello che da noi diventa pasta e cous cous dall’altra parte del Mediterraneo. Ma la semola è la stessa, così come la sapienza e l’allegria delle donne che impastano. Jessica racconta il progetto e Zouhaira prepara il suo cous cous. Giocando con farine di piselli, fave, lenticchie, ceci ed i succhi di diversi frutti.

Camouflage di cous-cous

Camouflage di cous-cous

La base del piatto è una sorta di hummus con mandorle affumicate, erbe aromatiche e l’agnello tradizionale della Tunisia. Un agnello che si spalma sul palato tanta è la sua tenerezza, animale e dolciastra, note che si inseriscono nel bilanciamento equilibrato di spezie attenuate dalla morbidezza della mandorla lattea. È un piatto fresco, acceso, ma è soprattutto la rappresentazione del domani che Jessica e Zouhaira desiderano; un piatto che ci aiuti a vedere oltre la crisi climatica, economica, la guerra, la pandemia e che ci induca a chiederci, singolarmente, qual è il futuro che noi vogliamo. Ed è con piatti come questi che da Roots si costruisce una comunità resiliente.

 

 

Per andare avanti bisogna, a volte, tornare indietro - CRISTINA BOWERMAN

La Carbonara…Per chiunque pensasse che questo piatto sia nato anni e anni fa, oggi dovrà ricredersi, perché in realtà la prima traccia scritta non risale che agli anni ’50 del secolo scorso, poco dopo la sua ufficiale apparizione. Siamo a Roma, zona Trastevere, festa de’ Noantri, di noi altri - la plebe che, miracolosamente, viene omaggiata dalla visita del Santo Padre. Il Papa per la prima volta va al di là del fiume e raggiunge le strade del quartiere popolare dove ciascun condominio imbandisce, in onore della Vergine, tavole con ogni bene. Carbonara compresa.

La Carbonara classica

La Carbonara classica

Ma la prima testimonianza scritta non è italiana, ma arriva dagli States, Chicago, a firma di due italiani ristoratori: da allora, nessun limite alla fantasia e all’uso di ingredienti, anche quelli che oggi metterebbero i brividi al sol pensarci: la Carbonara è ormai una star. Carbonare con gruviera, aglio, parmigiano, mentre al guanciale – in circolazione dal 1960, nella prima ricetta codificata di Luigi Carnicina– si preferiva la pancetta, e non poche volte ci finiva dentro anche un po’di panna. Errori madornali? Non esattamente, e a confermarlo è Cristina Bowerman, chef di Glass Hostaria, a Roma, che presenta due versioni del tradizionale piatto romano, dunque una classica – guanciale, tuorlo, pecorino, pepe macinato fresco e spaghettoni– e una versione innovativa, da delivery che, facendo tesoro dei tabù legati a questa preparazione, infrange le regole e porta tra le mani delle persone una carbonara rivoluzionaria, oltre che buonissima. Tutto parte proprio dall’uso proibito della panna: ma se consideriamo che l’aggiunta di un liquido, aumenta la temperatura di coagulazione del tuorlo, capiremo allora che, nella provocazione dell’attore Renato Rascel circa l’uso della panna, risiede la soluzione ideale per "carbonare in movimento", non più cotta-e-mangiata.

La Carbonara shake

La Carbonara shake

Ma cosa accade? Sfruttando il calore degli scaldini per le mani, e shakerando il packaging della carbonara delivery, si attiva il processo di coagulazione nell’esatto momento in cui scegliamo di innescarlo. Meglio, in questo caso, considerare l’uso di una mezza manica così da non sfibrare la pasta; poi pancetta a volontà. Carbonara controcorrente versione delivery.

 

 

Viva la pasta pasta pasta con il  po po po pomodoro - CRISTIANO TOMEI

La fine del viaggio è racchiusa in un simbolo, ancora un piatto: senza giri di parole, la pasta al pomodoro. Questo gusto codificato nell’ipotalamo, racchiuso nella cassaforte della nostra conoscenza emotiva. Lo mangiamo con la testa, con la coscienza del ricordo e ognuno ha il suo, impresso dentro di sé. Per cui esistono tante paste per ciascuno di noi, ma anche tanti pomodori. Guai a dirlo acido, guai a chiamarlo ortaggio: il pomodoro è dolce – specifica Cristiano Tomei chef del ristorante L’Imbuto, a Lucca– e quando è verde, ha solo una dolcezza più fresca; il pomodoro non si frulla, né va messo in frigo. La cottura di un pomodoro va lasciata a sé stessa, senza violenza, senza schiacciarlo, ma lasciando che la salsa si faccia da sé. E chi pensa che di renderla più dolce aggiungendo lo zucchero, dimentica che quest’ultimo è un esaltatore di acidità. Poi il grano, congiunzione e condivisione di culture fino alla tradizione, che non ha bisogno di rivisitazione alcuna. Il messaggio è forte e chiaro: il futuro è quello che si è e quello che si ha. E il nonno di Cristiano, con ciò che aveva – pomodoro, sedano, carota e cipolla, niente sale – produceva le sue conserve in grandi bidoni di latta su un potente falò. Durante la cottura, il pomodoro e gli altri vegetali rilasciavano i loro liquidi e anche i loro zuccheri, così, quando il sugo veniva filtrato attraverso un grande lenzuolo, Cristiano si accaparrava un bicchiere di acqua vegetale, che si è stagliato nella sua memoria. Quell’acqua è diventata elemento portante della sua cucina, se non fosse che un giorno, i suoi ragazzi, la lasciano sul fuoco acceso per ore e ore. Cristiano si arrabbia, almeno fino a quando si rende conto di cosa sia realmente successo.

La pasta al pomodoro

La pasta al pomodoro

Quell’acqua, sfruttando la ricchezza zuccherina naturale dei vegetali crea, a contatto con il calore, una salsa densa, saporitissima, senza sale. Un errore diventa il condimento della sua pasta al pomodoro. E arriviamo alla pasta: prima conosciamola, e poi abbandoniamo la grammatica principale, o perlomeno mettiamola in dubbi e, senza timore, iniziamo a pensare che una pasta stracotta non sia meno buona di una pasta al dente perché esistono formati e formati. Difatti, alle volte, la pasta ha solo bisogno di tempo per sprigionare sapori che altrimenti resterebbero chiusi, incapsulati. La pasta si reidrata in un liquido comodo e caldo, scolata perfettamente e poi…lasciata riposare, senza la necessità di mantecare, così che la sua massa glutinica si rilassi. È così che della pasta riusciremo a sentirne la sua stessa essenza e quella del sugo. Burro d’ostrica, e il piatto è servito: la pasta al pomodoro secondo Tomei.


IG2022: il futuro è oggi

a cura di

Identità Golose