10-03-2017

Mariana Müller, la Patagonia argentina tra acidità e dolcezza inaspettata

L’aceto diventa protagonista del piatto esaltando il sapore degli altri ingredienti. Il finale? È inaspettatamente dolce

La cuoca argentina Mariana Müller, insieme al ma

La cuoca argentina Mariana Müller, insieme al marito Ernesto, introdotta sul palco di Identità Naturali da Paolo Marchi

Guardando Mariana Müller non si direbbe che il punto forte della sua cucina sia l’acidità. È dolce, infatti, il sorriso di questa chef argentina, da 20 anni chef e proprietaria di Cassis a Bariloche, la Capital de los lagos, in Patagonia. Nel suo laboratorio personale, in una continua alchimia di gusti e sapori, si trasformano in aceti pregiati i fiori di sambuco, la rosa canina, il cerfoglio, il ribes nero e tanti altri ingredienti. Ha perso il volo ed è arrivata con qualche ora di ritardo al Congresso di Identità Golose, ma l’inconveniente non ha fatto altro che creare ancora più attesa e curiosità nella platea della Sala blu numero 2, la “casa” di Identità Naturali.

Non solo vino e carne
«Quando si pensa all’Argentina di solito si parla solo di vino e carne, ma non ci immaginiamo nemmeno la ricchezza che si può trovare in questa terra – spiega Paolo Marchi -. Dopo essere stato in Patagonia avevo un pensiero fisso: portare Mariana a Identità Golose. A volte ci concentriamo troppo su spagnoli “di moda” e ci dimentichiamo di persone che fanno il loro lavoro in maniera straordinaria in luoghi meno conosciuti. Sono convinto che siano persone come lei che possano aprirci gli occhi».

Acidità che esalta i sapori
La passione di Mariana per le acidità viene da lontano. «Sono di origine tedesca e ungherese – spiega la chef – e, fin da piccola, mi sono avvicinata all’elemento acido che è tipico di quelle cucine. Questa “confidenza” con l’elemento acido, che mi accompagna fin dall’infanzia, si trova anche nei miei piatti. Ma attenzione: l’aceto può non essere necessariamente acido e, soprattutto se è invecchiato, ha la sottile e potente capacità di esaltare tutti i sapori».

La trota in tre versioni di aceto
A Identità Naturali la chef ha presentato come primo piatto una Trota in tre versioni di aceto: il primo ha una consistenza cremosa, il secondo regala un sentore di foglie verdi e il terzo sprigiona il gusto dei semi di senape. La parte acida viene accompagnata dalla grassezza dell’olio d’oliva, dalla croccantezza delle nocciole e dall’aromaticità della senape. Il piatto è arricchito e ingentilito da fiori di Dente di leone, pianta autoctona della Patagonia, mischiati con succo di arancia a rimarcare l’elemento acido. Si tratta di piatto complesso con tante sfumature, in cui le acidità esaltano con le loro punte sensoriali dissonanti la texture piacevole e morbida della trota cotta in forno lentamente. «La trota non è un pesce autoctono dell’Argentina, ma è stato importato nei primi anni del 900 dai Nord Americani – spiega Mariana -. È un pesce molto apprezzato perché le sue carni, trattandosi di un pesce di acqua dolce, hanno un sapore più delicato rispetto, ad esempio, al salmone che vive in acque salate. Le trote che uso per i miei piatti sono allevate in acquacoltura, ma si tratta di un lago talmente grande e di un habitat naturale così sano, che si riflette positivamente sulla bontà delle carni».

L’agnello con rabarbaro e frutti di bosco
Anche il secondo piatto si ispira alla steppa patagonica e, anche in questo caso, il protagonista è un ingrediente “importato”. «L’agnello è arrivato in Argentina all’inizio del XX secolo ad opera degli inglesi – spiega Mariana -. Negli anni l’allevamento è stato perfezionato e oggi si trovano in Patagonia esemplari dalla carne magra e saporita, sana e senza eccessi di colesterolo. Amo abbinare l’agnello ai frutti rossi – ribes, lamponi o mirtilli - per non tralasciare l’aspetto acido. Sul finale aggiungo il rabarbaro, un ingrediente sottovalutato che, invece, può dare grandi soddisfazioni al palato. Di solito il piatto vede anche le animelle di agnello saltate con una riduzione di fondo d’agnello, ma, visto che oggi non avevo queste ingrediente a disposizione, ho completato la ricetta con dell’ottimo prosciutto crudo italiano».

Formaggio, fichi e aceto di fiori di sambuco
Il terzo piatto è un formaggio di capra cremoso con aceto di fiori di sambuco e aceto balsamico. «Il mio amico Mauricio mi ha dato dei fichi favolosi e dolcissimi – racconta la chef – e ho pensato di abbinarli a un aceto invecchiato di fiori di sambuco. Il succo dei fiori viene fatto fermentare fino a diventare aceto e ne abbiamo di diverse “annate”: alcune bottiglie hanno 10 anni di invecchiamento. Il prodotto subisce una doppia fermentazione, alcolica e acetica». Oltre al formaggio fresco di capra, ai fichi e all’aceto di fiori di sambuco, il piatto prevede una riduzione di aceto balsamico – in cui viene fatta fermentare anche una parte dei fichi - un tocco di cardamomo e dei germogli di verbena per completare l’altalena di gusto.

Con pazienza, dall’acidità alla dolcezza
In ogni piatto creato da Mariana, lo stupore in bocca sta nel perfetto bilanciamento dei sapori: è come se l’acidità, attraverso il contrasto, riuscisse a “tirare fuori” e ad accentuare la dolcezza sconosciuta e inaspettata degli altri ingredienti. «Dovreste provare l’aceto di mela cotogna – esorta la chef – è incredibile, come mangiare una mela, solo leggermente più acida e densa, con un finale zuccherino. Questo nettare è così versatile che può essere usato nei dessert, nelle bevande o in un piatto. Inoltre l’aceto, invecchiando, condensa in sé una dolcezza che solo il tempo riesce a conferire». L’insegnamento è che, in cucina come nella vita, ciò che abbiamo davanti agli occhi ci può riservare sorprese inaspettate, se solo abbiamo la pazienza di attendere e il coraggio di superare i luoghi comuni per guardare con occhi nuovi. Il tempo può tirare fuori dolcezza anche da ciò che, a prima vista e a uno sguardo disattento, dolce non sembrava affatto.


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Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Annalisa Leopolda Cavaleri

giornalista professionista e critico enogastronomico, è docente di Antropologia del Cibo e food marketing all'Università di Milano e all'Università Cattolica. Studia da anni il valore simbolico del cibo nelle religioni e collabora con alcune delle più importanti testate del settore

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