11-10-2023

Cosa significa "grasso"? Scopriamo come le parole evolvono con la società

Un tempo sinonimo di abbondanza e di solidità economica oggi è collegato alla cattiva alimentazione. Storia di un termine che rispecchia una nuova idea di "normalità".

«Siamo quello che mangiamo»: il nostro organismo ci spinge a cercare energia quando ne ha bisogno, la nostra mente impone un certo autocontrollo, il nostro umore causa fame nervosa o mancanza di appetito. Ma cosa succede quando il nostro regime alimentare è costituito da cibo dannoso per il nostro organismo? Quali sono le conseguenze sociali, estetiche e salutari che questo può causare? Sentiamo spesso parlare di obesità e grasso, ma cosa si cela dietro questi due termini?

La parola “grasso”, come scrive Cinzia Scaffidi (2014) nel suo libro Mangia come Parli, se la passa malissimo di questi tempi. È stata una parola buona, positiva, esteticamente rilevante, in numerose stagioni del passato.

Sinonimo di abbondanza, di solidità economica e quindi, dato che grasso era chi aveva a disposizione denaro e cibo a sufficienza, di salute.

E l’idea di salute porta con sé l’idea di bellezza. Non è un caso se chi vuole un po’ mimetizzare l’entusiasmo di un complimento sulla bellezza del suo interlocutore tende a dire a dire «ti vedo in gran
forma» o «come stai bene» temendo che un esplicito «come sei bello» possa risultare troppo rivelatore.

Forse si può provare a partire proprio da questa idea di forma per ripercorrere un po’ le vicende della parola grasso. Nel giro di poco tempo le società occidentali sono passate dall’apprezzamento al rifiuto delle forme tondeggianti.

Questo in base a tanti riferimenti. Innanzitutto l’idea di malattia e morte, che nell’immediato dopoguerra era legata alle immagini dei corpi scheletrici usciti (o no) dai campi di concentramento, oggi è legata invece a immagini di obesità invalidanti.

Secondariamente, si sono allontanati i tempi d’oro della dieta mediterranea. Questa funzionava, ovvero consentiva di mantenere un ottimo stato di salute e di non avere problemi di sovrappeso, sia perché i prodotti usati erano - anche per mancanza di alternative - biologici e integrali, sia perché le persone che -in maniera sostanzialmente inconsapevole-seguivano quel tipo di regime avevano stili di vita che implicavano una notevole dose di movimento fisico: non avevano automobili ed erano spesso agricoltori.

In quella situazione le persone più povere avevano fisici asciutti mentre chi iniziava ad assaporare gli agi del benessere finiva regolarmente per mettere su qualche chilo e quindi la disapprovazione sociale era comunque lontana, poiché socialmente il suo status era superiore.

Oggi ci troviamo nella situazione esattamente opposta: chi ha redditi bassi e contestualmente una bassa competenza alimentare (data a volte dalla bassa scolarizzazione, ma non necessariamente), chi in sostanza “mangia male” per ignoranza o perché ritiene che il cibo di qualità sia roba da ricchi, tende ad avere rischi di sovrappeso più alti rispetto a chi ha un reddito più alto accompagnato da una cultura alimentare più solida e in generale da uno stile di vita che preveda una quotidiana pratica fisica.    

Ai due fattori fin qui descritti si aggiunge un elemento di carattere squisitamente sociale: il processo di adolescenzializzazione della società tende ovviamente a «cristallizzare anche i corpi nelle forme di immaturità e mancato compimento della prima giovinezza».

L’idea di bellezza è cambiata, e con essa l’idea di “normalità.


Identità di salute

a cura di

Lucia La Paglia

gastronoma e modella viterbese, classe 2000. Dunque una millennial con un passato di disturbi alimentari, esperienza comune tra molte coetanee e colleghe. Così, curare e prevenire i dca è diventata la sua missione. Si è laureata presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove ha iniziato a lavorare a suoi progetti, proseguendo con gli studi magistrali

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