02-10-2017

Identità Milano 2018: il Fattore Umano

Paolo Marchi si svela e spiega quale sarà il tema centrale della prossima edizione del congresso, dal 3 al 5 marzo

Le foto sono di Brambilla-Serrani

Le foto sono di Brambilla-Serrani

Il Fattore Umano, sarà questo il tema, il filo conduttore di Identità Golose 2018 a Milano, da sabato 3 marzo a lunedì 5. Viviamo un’epoca dove è più facile avere lo sguardo rivolto a uno schermo piuttosto che verso il viso di una persona, un tempo nel quale troppe cose, sul lavoro e nella vita privata, sono ricondotte a internet e alla freddezza di rapporti superficiali, dove si ha fretta per tutto e tutto viene ridotto a selfie e autoscatti spesso senza spessore. Tutti fotografi al punto che in rete i piatti troppo spesso piacciono perché belli quando in realtà, una pietanza deve risultare innanzitutto buona.

E questa incalzante spersonalizzazione dei rapporti tra le persone si riflette anche nella ristorazione, con una preoccupante omologazione anche a livello di alta cucina, dove gli autori hanno poco di loro da dire. Si registra un dilagare di piatti che fanno il verso a culture di altri paesi piuttosto che ai menù degli chef più importanti. E non per uno scambio di culture e di contaminazioni, ma per nascondere i propri limiti colorandoli con immagini rubacchiate qua e là. Invece di impegnarsi ad approfondire i propri punti di forza, si seguono tendenze e capricci nel timore di non cavalcare l’onda del momento.

Fateci caso: fino a un paio di anni fa il ceviche era pressoché sconosciuto, ora fa capolino in sempre più menù. Ha senso se prima impariamo tutto quello che sta a monte della preparazione regina della cucina peruviana. Ma quanti lo fanno?

E così il Fattore Umano vuole mettere al centro le relazioni umane, l’uomo-chef e tutti coloro che lo circondano sul lavoro, dalla cucina alla sala, al rapporto coi clienti e prima ancora artigiani e fornitori. Internet, nelle sue innumerevoli forme, ha permesso la condivisione di saperi, note, conoscenze, tecniche, ricette come solo dieci anni fa era inimmaginabile. Però resta un però. Lasciamo stare per una volta l’imbarbarimento delle relazioni sociali, il rispetto merce sempre più rara, la chiusura dilagante verso chi non è sulla nostra stessa sponda: quello che la rete non potrà mai offrire è proprio il fattore umano, la possibilità di un confronto faccia-a-faccia, il parlare al cliente, ma anche ai fornitori piuttosto che a chi lavora nel tuo locale.

È il momento, pur non rinunciando all’emozione per quello che c’è nel piatto, di portare, di spostare l’attenzione sul convivio, su quanto avviene attorno alla tavola, punti di incontro di mondi. Se vi è una cosa della quale possiamo essere sicuri è che anche tra dieci anni non potremo comperare la convivialità su internet, mai. La ristorazione rimarrà uno dei massimi centri di sviluppo delle relazioni umane.

Se tutto è a disposizione di tutti, se tecniche, idee e ingredienti non sono più “segreti dello chef”, anzi c’è una corsa a reclamizzarli per evidenziarne la paternità, cosa fa la differenza? La capacità delle persone di relazionarsi tra loro, rispettandosi e spronandosi a crescere e migliorarsi passo dopo passo. Il ristoratore che stabilisce un rapporto diretto e personale con un allevatore, un pescatore o un agricoltore, un casaro come un artista o un designer, trarrà vantaggio da queste relazioni perché i vari personaggi si sentiranno ben più motivati, protagonisti di un progetto globale e non semplice fornitori di un tassello che paghi e finita lì.

E lo stesso all’interno del locale. I cuochi e i ristoratori intelligenti e sicuri delle loro capacità eviteranno di mettersi in cima a una torre d’oro per ingigantire loro stessi e rimpicciolire che hanno accanto. Chef e cucina, cantina e camerieri si sentiranno parte importante e rispettata e, preso coscienza di questo, si impegneranno con ben altro spirito e attenzione perché al centro di un pranzo vi sia il piacere finale dell’ospite a tavola.

Nessuno negherà mai la forza trainante del leader, ma non bisogna più mettere al centro di ogni azione sempre e solo l’ego dello chef. Nessuno intende contestarne il ruolo, il peso di chi investe, fa impresa e imposta le linee guida, ma in una società che sarà, piaccia o non piaccia, sempre più multietnica e multiculturale, purtroppo anche con attriti e violenze, prima si capirà la forza del confronto e del rispetto e prima tutti ne trarranno giovamento.


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Paolo Marchi

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Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
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