È la seconda volta che vengo a fare un stage in questo tempio della gastronomia. La prima fu nella primavera del 2010, quando il Celler de Can Roca stazionava nella seconda posizione della World’s 50Best, i migliori 50 ristoranti del mondo (ora è in prima posizione, ndr). Quell’esperienza fu fondamentale perché imparai nuove tecniche, che poi adattai alla mia piccola cucina di via Adige. Le adeguai alla nostra materia prima e al gusto italiano, mossa senza la quale difficilmente sarei riuscita ad arrivare alla stella Michelin, ottenuta pochi mesi dopo.

Viviana Varese con Montse, madre dei fratelli Roca
In attesa di aprire la nuova
Alice all’interno di
Eataly Milano (se ne parlerà nel 2014,
ndr), insegna per la quale abbiamo progettato una cucina supertecnologica, ho chiesto di tornare a Girona. Ho fatto domanda per lavorare per un settimana, dal 3 al 10 novembre scorsi. Si ricordavano di me e mi hanno offerto di dormire nella casa del personale. Naturalmente ho accettato. Per me è stato come mettermi di nuovo alla prova, calarmi nel ruolo della cuoca che lavora al fianco di ragazzi spesso più giovani.
Ogni volta mi colpisce il loro senso dell’ospitalità e dell’accoglienza. Sono stata accolta da Montse, la mamma di Joan, Jordi e Joan. Mi ha accompagnato nella mia stanzetta e l'emozione è stata fortissima perché mi sono rivista nella situazione di 20 anni fa, quando vivevo sopra la trattoria dei miei genitori a Salerno. Nella signora Roca rivedevo mia mamma. Per 7 giorni ho vissuto le stesse sensazioni dei ragazzi che vengono a lavorare da me: lontani da casa, lontani dagli affetti, con una serie di paure. Questo mi aiuterà a capirli e ad accoglierli meglio.
Lavorare al
Celler significa entrare nelle dinamiche complesse di un gruppo di 40 ragazzi dalla bravura mostruosa. Determinati, costanti, organizzati, puliti. Una macchina perfetta in cui tutto ha un senso nello spazio e nel tempo. Volevo proprio capire cosa significasse organizzare nel dettaglio una grande cucina. Comprendere con più attenzione ogni passo di un processo in evoluzione continua, travolgente: i piatti cambiano spessissimo e da poco c’è anche un laboratorio creativo, di quelli che popolano tutti i giorni i miei sogni.
Per due giorni mi ha raggiunto in cucina la collega Cristina Bowerman del ristorante Glass di Roma. Abbiamo anche cenato assieme, chiedendo il menu degustazione Festival, il più lungo! Siamo state benissimo: tutto ciò che c’era sul tavolo prendeva man mano nuove fogge e gusti. Perché al Celler non cambiano solo le ricette ma anche gli strumenti e i contenitori. È una ricerca continua su forme e contenuti, una sincronia perfetta tra sala e cucina, tra immagine e contenuto, fantasia e realtà. Una cucina che spazia tra preparazioni classiche e moderne, avanguardiste e futuriste.

Viviana Varese e Joan Roca al congresso di Identità Milano 2013 (foto Brambilla-Serrani)
Un tempo, nella stessa cucina preparavano banchetti fino a mille persone; ora fanno catering in una villa vicina a Girona. Al vecchio
Celler c’è invece
Rocambolesc, il laboratorio di gelatieri: i
Roca possiedono anche due gelaterie e, quando il ristorante è chiuso, fanno anche dei corsi sulle tecniche del sottovuoto. Tante persone, tante famiglie vivono di
Celler, così come tanti stagisti vengono qui per imparare e dare il loro contributo.
Purtroppo in Italia questo non è possibile: possiamo impiegare al massimo 1 o 2 stagisti e quindi, dovendo contenere i costi, il personale lavorante è quasi sempre inferiore alle necessità effettive. Il governo spagnolo, così come quello danese, ha capito l’importanza di avere grandi ristoranti: muovono turismo, denaro, alberghi, aerei. Un volano pazzesco per il loro paese. E infatti io nel mio curriculum scriverò sempre «ho lavorato due volte al Celler».